Introduzione
La possibiltà di poter scegliere il sesso del nascituro ha
affascinato la specie umana sin dall'antichità. I tentativi
di condizionare la scelta prenatale sono stati eseguiti con metodi
più o meno improbabili fino ad arrivare a metodiche più
sofisticate associate alla fertilizzazione in vitro. Benchè
la selezione del sesso non sia mai stata tecnicamente possibile, numerosi
studi hanno osservato le variazioni del rapporto tra i due sessi in
diverse situazioni.
La moltitudine dei dati è talvolta difficile da interpretare
e ricondurre ad un’ipotesi unificatrice. Purtuttavia, è
opportuno ricordare che almeno nella nostra specie, benché
il numero di spermatozoi X e Y sia necessariamente uguale, il rapporto
tra maschi e femmine al momento della nascita non è di 50 a
50, ma è sbilanciato in senso maschile, circa 51,1% contro
49.9%. Questa semplice constatazione indica che esistono fattori capaci
di modulare il rapporto tra maschi e femmine e stimola una domanda:
a che scopo nascono più maschi che femmine? La risposta a questa
semplice domanda è probabilmente la constatazione che i maschi
benché spesso preferiti in molti contesti sociali e familiari,
sono a dispetto del loro aspetto fisico, più fragili rispetto
alle femmine. Le numerose evidenze cliniche che sostengono questa
affermazione spaziano dalla vita prenatale alla vita post-natale,
adulta e senile. Ad una analisi, neppure troppo attenta, è
evidente che il rapporto maschi/femmine più o meno paritario
durante la vita riproduttiva cioè intorno alla II° - IV°
decade di vita si sposta a favore delle femmine nelle fasi di vita
successiva fino ad arrivare ad un rapporto di 20 maschi su 80 femmine
in età senile. Diverse evidenze suggeriscono che quest’evento,
questo maggiore attrito sui maschi, sia già evidente in epoca
prenatale e perinatale.
Svantaggio
dei maschi durante la vita prenatale e alla nascita
In alcune specie animali (Jongbloet, 2004) come l’hamster il
rapporto di embrioni maschio su embrioni femmina è, subito
dopo il concepimento e prima dell’impianto, di 180/100, per
diventare al momento della nascita di 106/100. Lo stesso nei conigli,
il rapporto maschi/femmina è di 122/100 in blastocisti di 6
giorni per ridursi a 105/100 al momento della nascita. Anche nella
specie umana è stata ipotizzata un’eccessiva perdita
di embrioni maschile durante la gestazione. Il rapporto maschi/femmina
in embrioni al secondo mese di gestazione è di 150/100 per
diventare di 132/100 alla fine del terzo mese e di 105/100 alla nascita(Jongbloet,
2004). E’ evidente quindi che un maggior numero di embrioni
maschi vengono concepiti e vengono poi persi nel corso della gestazione,
sia per anomalie cromosomiche che per un maggiore attrito esercitato
su di essi dalla gravidanza stessa. Quando le condizioni gravidiche
sono più sfavorevoli, come per esempio in presenza di embrioni
multipli che competono per la sopravvivenza in utero, il rapporto
tra maschi e femmine si riduce notevolmente (Jacobsen et al., 1999).
Allo stesso modo è più probabile lo sviluppo di gravidanze
trigemellari con tre femmine che di gravidanze trigemellari con tre
feti maschi (Jacobsen et al., 1999). La maggiore perdita degli embrioni
maschili al momento del concepimento, continua con la comparsa di
un maggior numero di aborti spontanei cromosomicamente normali a carico
del sesso maschile (Byrne e Warburton,1987; Ingemarsson, 2003), e
con una maggiore natalità pretermine (Cooperstock and Campbell,
1996; Zeitlin et al., 2002; Ingemarsson, 2003; Vatten and Skjaerven,
2004). Anche la rottura prematura delle membrane, che spesso si associa
ad un parto pretermine è più frequente nelle gravidanze
con feti maschi (Mac Gillivray and Davey, 1985; Seki and Kato, 1987).
Alcune patologie della gravidanza colpiscono maggiormente i feti di
sesso maschile. La sex ratio (rapporto maschi/femmina) è maggiore
in gravidanze che sviluppano preeclampsia con parto a termine (Llopez-Llera,
1990; Vatten and Skjaerven 2004), placenta previa (Mac Gillivray et
al., BMJ 1986; Javobivits and Zubek,1989; Demissie et al., 1999, James,
1995) o distacco di placenta (Javobivits and Zubek,1988, James, 1995).
Esistono tuttavia delle patologie più frequenti nelle gravidanze
con feto femmina quali la placenta accreta e la gravidanza extrauterina
(James,1995).
Una delle teorie per spiegare questi dati è che la determinazione
del sesso fetale sia strettamente correlata con il profilo ormonale
presente al momento del concepimento, e precisamente alte concentrazioni
di estrogeni sarebbero associate al concepimento di maschi e basse
concentrazioni al concepimento di femmine. Il profilo ormonale, secondo
l’autore, sarebbe inoltre parzialmente responsabile della patologia
che si svilupperà in seguito, quindi alte concentrazioni di
estrogeni sarebbero parzialmente responsabili di distacco di placenta,
preeclampsia e statosi epatica, e basse concentrazioni di estrogeni
di placenta previa e gravidanza extrauterina (James 1995).
Dopo la nascita, la sopravvivenza a breve termine di neonati con basso
peso è minore nei feti maschi (Stevenson et al., 2000) e sostanzialmente
la mortalità perinatale risulta essere più alta nei
maschi che nelle femmine di ogni età gestazionale (Naeye et
al., 1971; Vatten and Skjaerven 2004). Questo è vero anche
per la mortalità ad 1 anno (5.4% per i maschi vs. 4.1% per
le femmine) (Ingemarsson, 2003). È stato visto che il rilascio
di catecolamine (Ingemarsson, 2003) durante il travaglio di parto
costituisce un importante meccanismo di difesa per ridurre l'ipossia
fetale e i neonati femmine pretermine hanno una concentrazione ematica
delle catecolamnie significativamente maggiore di quella dei maschi.
A prescindere dall’età gestazionale alla nascita i maschi
risultano avere condizioni meno stabili rispetto alle femmine. I punteggi
di Apgar a uno e a cinque minuti sono solitamente più bassi
nei maschi che nelle femmine e più frequentemente i maschi
necessitano di assistenza neonatologica (Stevenson et al., 2000).
L'ipoplasia polmonare dopo rottura prematura delle membrane è
significamente più diffusa tra i neonati di sesso maschile
e le morti secondarie alla sindrome da distress respiratorio risultano
essere percentualmente maggiori nei maschi. Ugualmente nei neonati
maschi risulta essere peggiore il recupero cognitivo in conseguenza
di un emorragia intracranica perinatale (Stevenson, et al., 2000;
Ingemarsson, 2003).
Fattori
materni in grado di Influenzare il rapporto maschio/femmina
Partendo dal concetto che il sesso maschile, più debole, risente
maggiormente degli eventi avversi presenti al momento del concepimento
e durante lo sviluppo embrionale, è evidente che la sua maggiore
o minore espressione debba essere condizionata in maniera rilevante
da fattori materni o interferenti con l’equilibrio endocrino-metabolico
della madre.
CICLO
MESTRUALE:
Vari studi effettuati sulla sex ratio avanzano la teoria che il ruolo
degli spermatozoi X o Y nella determinazione del sesso fetale sia
preceduto da fattori materni che provvedono all’accesso differenziale
dello spermatozoo. Un ruolo critico, in questo processo, sarebbe svolto
dagli ormoni prodotti dai follicoli ovarici.
Come già accennato, James (1985; 2001a) afferma che esiste
una correlazione tra i livelli ormonali di entrambi i genitori al
momento del concepimento e sesso fetale, precisamente un aumento dei
livelli di estrogeni e androgeni sarebbe associato ad un aumento dei
maschi, ed al contrario che alti livelli di gonadotropine presenti
al momento del concepimento sarebbero associati con un aumento delle
femmine. Varie evidenze sembrano sostenere quest’ipotesi. In
alcuni studi è stato evidenziato un aumento dei maschi per
i rapporti fecondanti avvenuti alcuni giorni prima dell'ovulazione
(basse gonadotropine), e viceversa un minimo di maschi durante il
picco ovulatorio delle gonadotropine, per poi riosservare un aumento
dei maschi nei 2-3 giorni seguenti (Guerrero, 1974; Harlap, 1979).
Nella stessa ottica è l'evidenza ottenuta dall'osservazione
che in matrimoni monogami, in cui il momento del rapporto sessuale
è principalmente deciso dal partner maschile, esiste un rapporto
maschi/femmine superiore che nelle relazioni poligame. In queste ultime,
infatti, è più spesso la donna a decidere il momento
dell'accoppiamento, che avviene più di frequente nel periodo
periovulatorio in conseguenza dell'aumentato desiderio sessuale associato
a questa fase del ciclo (Whiting, 1993). Ugualmente i concepimenti
che avvengono in seguito al fallimento della contraccezione ormonale
o al metodo del ritmo, sono associati ad una maggiore prevalenza di
maschi in quanto il rapporto sessuale fecondante, avviene in un periodo
probabilmente lontano dall'ovulazione (Shiono, 1982). Tali modificazioni
del rapporto maschi/femmina non sono invece evidenti dopo i fallimenti
di altri metodi contraccettivi come la IUD, i metodi barriera o i
metodi chimici (Shiono, 1982). Al contrario, quando si interrompa
il contraccettivo per ottenere la gravidanza, poiché i rapporti
sessuali sono maggiomente mirati al periodo fecondo periovulatorio,
si riduce la prevalenza di feti maschi (Pejtsik et al.,1990). E' opportuno
tuttavia anche ricordare che altri studi effettuati sia su cicli spontanei
che su cicli indotti non hanno riportato una variazione della sex
ratio in dipendenza del giorno della fecondazione (Wilcox et al.,1995).
Weinberg e collaboratori (1995) hanno effettuato uno studio su 133
gravidanze e hanno trovato una relazione tra lunghezza della fase
follicolare e sesso fetale, precisamente un ciclo con fase follicolare
breve (ovulazione precoce) sarebbe legato a un eccesso di maschi,
al contrario un ciclo con fase follicolare lunga, probabilmente caratterizzata
da elevate gonadotropine e bassi ormoni sessuali, sarebbe legato a
un eccesso di femmine. In verità questo studio potrebbe suggerire
che in situazioni di difficoltà riproduttive, caratterizzate
da una ovulazione più difficoltosa, una elevazione delle gonadotropine,
più bassi livelli di ormoni steroidei ed un allungamento del
ciclo mestruale favoriscano una maggiore produzione del sesso forte,
ovvero del sesso femminile. Questa ipotesi, che trova conferma nelle
variazioni del rapporto maschi/femmine legate all'età materna
ed alle stagioni (vedi capitoli successivi), è in contrasto
con l'ipotesi formulata da Jongbloet et al. (1996;2004) relativa alla
PrOO (preovulatory overripeness ovopathy), una situazione caratterizzata
da una fase follicolare lunga e da una non ottima maturazione dell’ovocita.
Questa alterazione legata a stadi transizionali del pattern ovulatorio,
indurrebbe una maturazione non ottimale dell’ovocita ed un aumento
di maschi.
FECONDAZIONE
ASSISTITA
Secondo alcuni autori l’induzione dell’ovulazione con
clomifene citrato o gonadotropine induce una diminuzione della sex
ratio probabilmete in conseguenza degli alti livelli di gonadotropine
(James, 1985; Silverman et al. 2002). Secondo altri la riduzione della
sex ratio in questi studi è essenzialmente dovuta all’
inclusione di soggetti subfertili e quindi predisposti a produrre
più femmine (Dickey et al., 1995), o alla selezione degli spermatozoi
effettuata durante la preparazione del seme per l’inseminazione
(Dickey et al., 1995; Siverman et al., 2002).
Gli embrioni maschi sembrano avere un metabolismo più attivo
ed uno sviluppo preimpianto più veloce rispetto alle femmine
(Quintans et al., 1998; Ménézo et al., 1999). In effetti,
Ray et al. (1998) hanno dimostrato che gli embrioni maschi mantenuti
in coltura allo stadio di blastocisti, al secondo giorno di coltura
hanno un numero di cellule significativamente maggiore rispetto agli
embrioni femmine, e che questa differenza è mantenuta durante
tutte le fasi dello sviluppo. Alcuni studi sono stati condotti sul
rapporto tra maschi e femmine negli embrioni prodotti con tecniche
di fecondazione in vitro. Pergament et al. (1994) hanno riportato
una odds ratio di 6:1 nei maschi nati vivi quando la media del numero
delle cellule al momento del transfer embrionale, effettuato al secondo
giorno, era più di quattro, cioè venivano trasferiti
embrioni con una più elevata attività mitotica. Un risultato
simile è quello di Tarìn et al. (1995) che mostrano
un aumento dei maschi esclusivamente quando il transfer embrionale
è eseguito fatto precocemente cioé al secondo giorno,
previlegiando in questo modo gli embrioni a più elevata attività
mitotica.
ETA'
MATERNA
L’aumento dell’ età rappresenta senza dubbio un
fattore sfavorente per la riproduzione sia dal punto di vista endocrino
che metabolico. Pertanto, sebbene non tutti gli studi siano concordi
(Jacobsen et al., 1999; Gutierrez-Adan et al., 2000), varie evidenze
supportano la teoria che l'aumento dell'età materna sia associato
con una diminuzione dei maschi (James e Rostron 1985, James 1996).
Tale effetto, è stato più recentemente confermato in
donne di età superiore a 40 anni con gravidanze spontanee (Orvos
et al., 2001), e in nullipare sottoposte a inseminazione artificiale
(Bahadur, 2001). Il dato è maggiormente evidente in condizioni
ancora più critiche come in donne grandi multipare che hanno
cioè avuto più di 10 gravidanze (Juntunen et al., 1997).
FATTORI
ENERGETICI E NUTRIZIONALI
In accordo con le evidenze che gli embrioni maschili mostrano una
più rapida attività metabolica, è possibile che
essi necessitino di maggiore energia. In effetti, sebbene non confermato
(Langley-Evans and Langley-Evans, 2003), uno studio del 2003 (Tamimi
et al., 2003) dimostra che in donne con gravidanza maschile l'introduzione
giornaliera di calorie è maggiore del 10% che in donne con
gravidanza femminile, (8%> di proteine, 9,2%> di carboidrati,
10,9%> di lipidi di origine animale, 14,9%> di lipidi di origine
vegetale). Il segnale fetale responsabile di tutto questo potrebbe
essere correlato alla produzione di testosterone da parte del testicolo
fetale. In conseguenza di questo, un feto maschio richiede un maggiore
impegno ai genitori, e soprattutto in situazioni più critiche,
rallenta l’insorgenza di successive gravidanze ( Mace e Sear,1997).
D’altra parte è possibile che un feto maschio sia sfavorito
in condizioni energetiche ridotte. Uno studio di Nager et al. del
1999, effettuato sugli uccelli, dimostra che quando la capacità
di produrre uova di buona qualità diminuisce, la sex ratio
devia verso le femmine. Questo fenomeno scompare quando le condizioni
materne migliorano. In effetti, valutando la correlazione tra sex
ratio e disponibilità calorica, in vari paesi del mondo, è
stata evidenziata una correlazione positiva tra disponibilità
calorica e percentuale di nati maschi (William e Gloster; 1992). Inoltre
è stato evidenziato che con l'aumento della disponibilità
calorica con la dieta aumenta anche la percentuale di nati maschi.
Per esempio in uno studio condotto tra il 1946 e 1999, confrontando
le nascite tra le due Germanie, è stato osservato che in un
periodo particolare perché caratterizzato dal declino economico
della Germania dell’Est, si è effettivamente riscontrato
un calo della progenie maschile (con un picco negativo nel 1991) (Catalano
R, 2003).
Uno studio effettuato su una comunità rurale dell'Etiopia (Gibson
e Mace, 2003) ha dimostrato che c'è una forte correlazione
tra sesso fetale e stato nutrizionale materno, e che ad un aumento
della percentuale di grasso corporeo si associa un significativo aumento
di nati maschi. Simili dati sono stati ottenuti in altri studi che
hanno evidenziato come donne con un alto rapporto vita/fianchi tendono
a concepire più maschi che femmine (Singh e Zambarano;1997).
Ugualmente anche in paesi industrializzati come l’Italia la
riserva energetica della madre sembra svolgere un ruolo nella definizione
del sesso fetale. Un peso materno (<54 kg) al momento del concepimento,
si associa ad un ridotto concepimenti di maschi (Cagnacci et al.,
2004). Uno studio effettuato su animali (Rivers e Crawford, 1974),
mettendo a confronto la progenie di due gruppi, uno trattato con una
dieta a basso contenuto lipidico e l'altro con una dieta di controllo,
ha dimostrato che nel primo gruppo, in cui c'era una carenza di acidi
grassi essenziali, la percentuale di nati maschi diminuiva in modo
significativo.
MALATTIE
MATERNE
Il diabete sembra indurre un deficit selettivo di alcuni acidi grassi
liberi in gravidanza, che potrebbe associarsi ad un aumento della
mortalità prenatale maschile, essendo stato ipotizzato che
i maschi sono più sensibili al deficit di acidi grassi (Crawford
et al., Lancet 1998). In effetti in alcuni studi è stata evidenziata
una maggiore probabilità di concepire femmine rispetto a maschi
in madri affette da diabete insulino-dipendente (Simpson, 1968; Rjasanowski
e Kovacs,1998). Altri studi non supportano questa ipotesi. (Casson
et al.,1997; Janssen et al., 1996; Møller e Jacobsen, 1998;
Paterson, 1998). L’insorgenza di diabete di tipo II durante
la gravidanza è associata ad una diminuzione della sex ratio
(James 2001b).
GRAVIDANZA
Alcuni autori hanno suggerito che un intervallo breve tra le gravidanze
è associato con un aumento di maschi (Greenberg e White 1967;
James 1994a)
Alcune evidenze suggeriscono una relazione fra il sesso fetale e il
sesso di una gravidanza precedente (James, 1975 Edwards, 1966), attribuendo
questa relazione a una predisposizione individuale o di coppia a concepire
feti di un determinato sesso o a una interazione in utero tra una
gravidanza e quella precedente. Altri autori (Jacobsen et al., 1999)
non hanno trovato differenze significative nella sex ratio di nati
dopo tre maschi rispetto ai nati dopo tre femmine (52,0 vs 52,8).
FATTORI
PATERNI
ETA’
Anche per i padre viene presa in considerazione l’età,
ed il fatto che con il suo procedere cali la possibilità di
generare maschi (Davis et al.,1998; Nicolich et al., 2000). Con l’
avanzare dell’età è possibile che la diminuzione
dei livelli di androgeni induca una diminuzione degli spermatozoi
che portano il cromosoma Y (Szilard, 1960) o della loro capacità
fecondante (James, 1987).
Uno studio danese (Jacobsen et al., 1999) conferma tale dato evidenziando
come l’età paterna presa singolarmente, o in rapporto
all’età della madre o all’ordine dei parti, influisca
negativamente sulla sex ratio. Infatti, il numero dei nati maschi
cala in maniera significativa quando il padre ha più di 40
anni rispetto a quando ha meno di 25. E’ possibile anche che
con l’aumento dell’età si riduca il numero di rapporti
e quindi si riduca la probabilità che questi vengano effettuati
in un periodo del ciclo lontano dall’ovulazione, fatto questo
associato ad una maggiore produzione di maschi (James, 1985; 2001a).
Altri studi riportano che anche la differenza d’ età
tra i genitori abbia un valore nella possibilità di partorire
una determinata progenie, cioè maggiore è la differenza
di età tra i genitori maggiore è la possibilità
di avere figli maschi (Manning et al.,1997; Astolfi e Zonta, 1999a;
Juntunen et al., 1997).
Fattori
Razziali
In un lavoro (Marcus et al. 1998) che ha valutato la popolazione di
9 stati americani in un lasso di tempo dal 1969 al 1995, è
stato evidenziato che nelle coppie interraziali la madre di colore
continuava ad avere una sex ratio maggiore di quella bianca. Altri
studi affermano invece che nelle coppie inter-razziali sia il padre
a determinare il sesso del nascituro, e che gli uomini bianchi fossero
quelli che avevano una maggior sex ratio (Khoury et al., 1984; Nicolich
et al., 2000).
FATTORI
ESTERNI
STRESS
Lo stress, sia fisico che psicologico, di sicuro influisce sulla capacità
procreativa degli individui, sia uomini che donne. Gli eventi stressanti
hanno un sicuro effetto negativo nella fase precoce della gravidanza,
ed inducono aborti in utero che tendono a colpire la progenie maschile
(Zonta,1996).
A conferma della teoria per cui eventi avversi possono avere effetto
sulla sex ratio influenzando il momento del concepimento, un gruppo
Danese ha condotto un ampio studio su questi fattori. Ha così
dimostrato che avvenimenti comuni e quotidiani, come malattie, ricoveri
in ospedale, la morte del partner o stress psicologici a carico dei
genitori, influenzando la componente ormonale, l’attività
sessuale e la qualità del seme sono in grado di provocare una
diminuzione della sex ratio (Hansen et al., 1999).
Uno studio condotto su pazienti con sclerosi multipla (James, 1994b)
ha mostrato una diminuzione della sex ratio nei nati da padri malati
solo dopo l’insorgenza della malattia. L’ ipotesi è
che l’ insorgenza di questa malattia provochi un forte stress
psicologico e conseguentemente una diminuzione dei livelli di testosterone.
Altro esempio di come lo stress possa influenzare la sex ratio è
fornito dalla posizione sociale dei genitori all’ interno di
un gruppo. Studi effettuati sulle specie animali e in particolare
sulle scimmie hanno messo in evidenza che la madre, a seconda del
suo stato di dominanza all'interno del gruppo, è in grado di
condizionare il sesso del nascituro. Scimmie dominanti sono infatti
in grado di produrre più maschi rispetto alle femmine non dominanti
(Trivers e Willard, 1973).
Il concetto di dominanza, stato sociale e sex ratio dei figli è
stato affrontato anche in due studi sulla specie umana. In uno studio
(Grant,1996) è stato ossevato che donne più “dominanti”,
ossia più autorevoli e autoritarie, hanno maggiori probabilità
rispetto ad altre di concepire maschi. In un’ altro studio (Zonta
et al.,1996) è stato evidenziato che in madri meno favorite
dal punto di vista riproduttivo in termini di stato socio-economico,
livello culturale e condizioni biologiche (>39 anni), la selezione
precoce contro i maschi è quasi doppia rispetto a quella contro
le femmine. E’ stato anche riportato che uomini di stato sociale
superiore abbiano una maggior possibilità di avere una progenie
maschile (James, 1987), mentre quelli che occupano le classi sociali
più basse siano sottoposti a stress fisici e psicologici maggiori,
con conseguente riduzione degli ormoni sessuali e nascita di un maggior
numero di figlie femmine.
Per valutare il peso degli effetti stressanti sul sesso della progenie
sono state prese in considerazione anche situazioni estreme, acute,
come lo studio di un evento naturale importante come il terremoto
che ha colpito il Kobe nel 1995. Un mese dopo il terremoto, si era
documentato un calo della motilità degli spermatozoi (Fukuda
et al. 1996), poi risoltosi, che si era associato dopo nove mesi ad
una importante diminuzione delle nascite (-6%) e della sex ratio (Fukuda
et al. 1998).
Altro evento straordinario e denso di angosce ed inquietudini è
rappresentato dalla guerra.
La guerra in Slovenia del 1991, è stata molto breve, solo 10
giorni, e questo avrebbe comportato uno stress psicologico molto intenso
che avrebbe fatto diminuire temporaneamente i livelli degli ormoni
sessuali e conseguentemente l’attività sessuale, la qualità
degli spermatozoi e la loro motilità (studi risalenti agli
anni 70 riportano come i soldati avessero bassi livelli di testosterone,
ed androgeni e di conseguenza un’alterata spermatogenesi) (Zorn
et al., 2002). Analizzando i dati si vede come proprio nella capitale
Lubiana, sotto il costante bombardamento, si avesse il picco negativo
di nascite maschili.
Anche la guerra in Iran-Iraq (1980-1988) ha indotto un calo della
sex ratio. In questo caso la spiegazione sarebbe diversa, perché
oltre al forte stress, che di sicuro si era verificato per la paura
continua dei bombardamenti, qui è possibile che l’utilizzo
di armi chimiche abbia contribuito a generare la predominanza di femmine
rispetto ai maschi (James, 2003).
Diversi sono i dati che si riferiscono alle due grandi Guerre mondiali
(James, 1987). In questo caso le popolazioni direttamente coinvolte
nei conflitti bellici hanno avuto un aumento delle nascite di maschi
durante e nel periodo subito successivo alla guerra stessa. Riguardo
questo argomento Graffelman e Hoestra (2000) hanno pubblicato un’analisi
statistica più approfondita, condotta sulle nascite nell’ultimo
secolo in 10 stati coinvolti nel conflitto. Effettivamente essi hanno
riscontrato in 8 stati sui 10 analizzati (Danimarca, USA; UK, Austria,
Belgio, Francia,Olanda, Germania) un picco significativo della sex
ratio durante e dopo le due Guerre mondiali. Solo l’Italia e
la Spagna discordavano da questo andamento. Tali dati sono stati spiegati
con un aumento della frequenza dei rapporti (durante i brevi periodi
di licenza), e quindi, con una maggior possibilità di fecondazione
in fase precoce o tardiva del ciclo, quella più proficua per
i maschi. Manning et al. (1997) inoltre studiando la popolazione inglese
e scozzese, aveva notato come, nel dopo guerra, in corrispondenza
con l’aumento della sex ratio ci fosse anche un aumento della
differenza di età tra i genitori, fatto questo associato ad
un aumento della sex ratio.
TREND
TEMPORALE ED INDUSTRIALIZZAZIONE
Diversi autori che hanno valutato le variazioni della sex ratio nel
tempo, prendendo come punto di partenza il periodo post-bellico, in
cui in molti paesi si era assistito ad un aumento della sex ratio,
ne hanno erroneamente documentato una diminuzione più o meno
accentuata (van der Pal-de Bruin et al.,1997). Una delle ipotesi maggiormente
invocata, è che il calo fosse dovuto ad un’aumento dell’inquinamento
ambientale (Vartiainen et al., 1999). Tuttavia, in un lavoro che copre
un periodo che va dal 1950 al 1990 e 29 nazioni su 5 continenti, è
stato evidenziato che la sex ratio non ha modificazioni univoche:
diminuita in 16 nazioni (del Nord ed Est Europa, insieme a Grecia,
Portogallo e Messico), aumentata in altre 6 ( Sud Europa ed Australia)
e rimasta costante in altre 7 (Parazzini et al. 1998).
Studi effettuati in Finlandia (Jongbloet et al., 2001; Voracek e Fisher,
2002) ed in Danimarca tra il 1850 ed il 1995 (Moller,1995) evidenziano
un calo dopo le guerre, ma affermano che la sex ratio non è
diminuita se confrontata con i periodi pre-bellici.
Astolfi e Zonta (1999b) hanno eseguito un’analisi più
sofisticata riferendo che nel periodo tra il 1971 e 1995 la sex ratio
tra 4 grandi città Italiane tende a diminuire, mentre in zone
definite rurali, tende all’aumento. Inoltre si vede come nelle
città più evolute ci sia un calo del numero dei maschi
anche con il numero delle gravidanze. Tutto questo può essere
equiparato ai risultati ottenuti in Europa (tra il nord più
industrializzato ed il sud meno progredito) e può essere messo
in rapporto alla maggior incidenza di fattori di rischio ambientali
(inquinanti), ma anche alla possibilità di un’ età
del parto posticipata in soggetti di maggior educazione e cultura,
a rapporti meno frequenti ed alla maggior latenza tra due gravidanze
successive.
Davis et al.(1998) riportano che nelle zone industrializzate si è
visto che 1 coppia su 5 ha problemi riproduttivi, e questo può
essere messo in relazione con l’esposizione ad ormoni, tossici
con azione simil-ormonale ed agenti nocivi, che possono influenzare,
in base alla dose, anche cambiamenti molto precoci nell’embriogenesi.
Naturalmente sono più sensibili ad agenti intossicanti quelle
cellule che hanno una replicazione più rapida ed incorporeranno
più velocemente gli errori di riproduzione, e per questo motivo,
il feto maschio è il più esposto a questo tipo di azione
esterna anche per quello che riguarda la determinazione del sesso.
Tuttavia un altro lavoro effettuato tra il 1989 e 1993, mostra come,
in Italia, la sex ratio rimanga alta anche nelle zone altamente inquinate,
diminuendo appena nelle maggiori città (Figa-Talamanca et al.
2003).
FATTORI
INQUINANTI
Vari studi sono stati condotti per valutare l’effetto sulla
sex ratio di inquinanti ambientali, come i derivati del propano.
Già nel 1984 (Potanshnik et al. 1984) si notava come l’esposizione
di uomini al dibromocloropropano (DBCP), porta ad una azo/oligoastenospermia,
che se effettuata in vicinanza del concepimento induceva una diminuzione
della sex ratio.
Anche sulla diossina, il prodotto più tossico creato dall’uomo,
sono stati condotti numerosi studi. Nel disastro di Seveso, del 1976,
l’esposizione a diossina dei maschi ha indotto una riduzione
della sex ratio (Mocarelli et al., 2000; Yoshimura et al., 2001),
evidente anche in lavoratori esposti alla diossina o composti simili
(Moshammer e Neuberger, 2000) L’esposizione del padre alla diossina
o simili sembra essere più importante dell’esposizione
materna (Del Rio Gomez et al., 2002). Infatti in altri studi in cui
si è valutata soprattutto l’esposizione delle madri (Del
Rio Gomez et al., 2002) si è visto che non si era verificato
un calo dei maschi alla nascita. Probabilmente la diossina ha effetti
negativi sullo spermatozoo che porta l’Y o esercita effetti
sui recettori steroidei che possono influire sulle cellule riproduttive
(Del Rio Gomez et al., 2002). L’effetto della diossina sembra
essere più importante durante le fasi dello sviluppo o in giovani
uomini (Moshammer e Neuberger, 2000; Del Rio Gomez et al., 2002),
e soprattutto in questi casi perpetuarsi nel tempo. Infatti soggetti,
esposti in età prepuberale o puberale alla diossina, generano
molti anni dopo figli con una bassa sex ratio (Mocarelli et al., 2000).
Anche l’effetto del fumo è stato valutato. Dividendo
i genitori in tre gruppi, in base al numero di sigarette fumate, Fukuda
et al. (2002) hanno dimostrato come nella progenie di una coppia di
forti fumatori si avesse una minor sex ratio rispetto ad una in cui
nessuno dei genitori fumava. Inoltre si è visto che anche avere
solo uno dei due genitori fumatori influisce negativamente sulla nascita
di maschi. Questo può essere spiegato anche partendo dal fatto
che il fumo ha effetti antiestrogenici e tossici nella donna e forse
abbassa i livelli di testosterone nell’uomo, favorendo così
lo sviluppo di una progenie femminile (James, 1987)
RADIAZIONI
Studi condotti sull’esposizione a radiazioni ionizzato hanno
affermato risultati discordanti, perché di numero esiguo e
svolti su campioni piccoli e molto diversi tra loro. Soggetti sottoposti
a radiazioni ionizzanti, perchè impiegati nell’industria
nucleare in UK, non hanno dimostrato una variazione della sex ratio
nella progenie concepita prima o dopo l’esposizione (Machonochie
et al., 2001). Simili dati sono stati ottenuti con l’ esposizione
a radiazioni ionizzanti nel periodo periconcezonale (Dickinson et
al.,1996). Ugualmente la radioterapia effettuata durante l’infanzia
non sembra avere effetti sulla sex ratio della progenie (Winther et
al., 2003).
Sembrerebbe invece che l’esposizione ai raggi X nei radiologi
comportasse una riduzione della sex ratio (Hama et al., 2001).
TEMPERATURA
E FOTOPERIODO
Mc Lachlan e Storey (2003), partendo dallo studio sugli animale omeotermi,
arrivano ad ipotizzare che ci sia un’azione della temperatura
a carico dell’attivazione del gene SRY, che avrebbe il ruolo
di iniziare la cascata che porta al fenotipo maschile.
In effetti la temperatura assieme al fotoperiodo è uno dei
due fattori ambientali implicati nella regolazione della riproduzione
stagionale (Ronnenberg e Aschoff, 1990; Cagnacci e Volpe, 1996).
Un aspetto interessante è che all'interno di ogni stato l'andamento
ritmico dei concepimenti risulta essere simile per tutti gli individui,
ma la sua ampiezza tende a diminuire in quella parte di popolazione
che vive in condizioni ambientali più costanti. Pertanto l'andamento
ritmico risulta essere meno pronunciato nelle città piuttosto
che nelle campagne nei bianchi americani piuttosto che nei non bianchi
americani, nei figli legittimi piuttosto che nei figli illegittimi.
L'ampiezza dell'andamento ritmico inoltre aumenta spostandosi dall'equatore
verso le regioni polari, e la fase, definita come il periodo in cui
avviene il massimo dei concepimenti, passa progressivamente dall'equinozio
di primavera a quello autunnale. In accordo con una presunta maggiore
fragilità delle gravidanze di maschi piuttosto che di femmine
è stato valutato se la sex ratio delle gravidanze vitali fosse
più alta in stagioni più favorevoli alla riproduzione
(Cagnacci et al., Hum Reprod 2003). In effetti la sex ratio valutata
al momento del concepimento ha mostrato avere un ritmo stagionale
con ampiezza di 2.4% e valori picco in ottobre. Il ritmo era in fase
con il ritmo dei concepimenti. La sovrapposizione dei due ritmi supporta
fortemente l'ipotesi che i maschi siano concepiti in stagioni più
favorevoli per la riproduzione.
CONCLUSIONI
Dalla moltitudine di dati presenti in letteratura sui fatti in grado
di modulare il sesso del nascituro emerge una ipotesi che sembra raccogliere
la maggior parte delle evidenze.
La considerazione iniziale di questa ipotesi è che il sesso
maschile sia più fragile di quello femminile, e per questo
risenta maggiormente dei fattori di attrito presenti durante la gravidanza.
La presenza di un minore o maggiore attrito viene iniziato nelle prime
fasi del concepimento da un migliore o peggiore equilibrio endocrino
o metabolico. Un minore attrito esercita un minore effetto negativo
sui maschi particolarmente sensibili e quindi fornisce un aumento
della sex ratio. L’effetto modulatorio può essere esercitato
anche sul padre o sulla coppia nel suo insieme. E’ opportuno
tuttavia notare che per avere una sex ratio spostata in senso maschile,
la natura non deve esercitare solo un minore o maggiore attrito sul
sesso maschile, ma promuovere la fecondazione di feti maschi nelle
condizioni più favorevoli.
L’aumento stagionale della sex ratio parallelo alla capacità
riproduttiva è un buon esempio di questo meccanismo. E’
proprio attraverso questi meccanismi che è garantito un ugual
numero di individui più fragili (maschi) e più forti
(femmine) in epoca riproduttiva postnatale, e con il mantenimento
dell’ equilibrio riproduttivo è favorito il perpetuarsi
della specie.
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Policlinico di Modena,
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