Fattori implicati nel determinismo del sesso del nascituro



Fattori implicati nel determinismo del sesso del nascituro


Angelo Cagnacci, Marianna Cannoletta, Debora Pirillo, Chiara Alessandrini, Annibale Volpe

Introduzione
La possibiltà di poter scegliere il sesso del nascituro ha affascinato la specie umana sin dall'antichità. I tentativi di condizionare la scelta prenatale sono stati eseguiti con metodi più o meno improbabili fino ad arrivare a metodiche più sofisticate associate alla fertilizzazione in vitro. Benchè la selezione del sesso non sia mai stata tecnicamente possibile, numerosi studi hanno osservato le variazioni del rapporto tra i due sessi in diverse situazioni.
La moltitudine dei dati è talvolta difficile da interpretare e ricondurre ad un’ipotesi unificatrice. Purtuttavia, è opportuno ricordare che almeno nella nostra specie, benché il numero di spermatozoi X e Y sia necessariamente uguale, il rapporto tra maschi e femmine al momento della nascita non è di 50 a 50, ma è sbilanciato in senso maschile, circa 51,1% contro 49.9%. Questa semplice constatazione indica che esistono fattori capaci di modulare il rapporto tra maschi e femmine e stimola una domanda: a che scopo nascono più maschi che femmine? La risposta a questa semplice domanda è probabilmente la constatazione che i maschi benché spesso preferiti in molti contesti sociali e familiari, sono a dispetto del loro aspetto fisico, più fragili rispetto alle femmine. Le numerose evidenze cliniche che sostengono questa affermazione spaziano dalla vita prenatale alla vita post-natale, adulta e senile. Ad una analisi, neppure troppo attenta, è evidente che il rapporto maschi/femmine più o meno paritario durante la vita riproduttiva cioè intorno alla II° - IV° decade di vita si sposta a favore delle femmine nelle fasi di vita successiva fino ad arrivare ad un rapporto di 20 maschi su 80 femmine in età senile. Diverse evidenze suggeriscono che quest’evento, questo maggiore attrito sui maschi, sia già evidente in epoca prenatale e perinatale.

Svantaggio dei maschi durante la vita prenatale e alla nascita
In alcune specie animali (Jongbloet, 2004) come l’hamster il rapporto di embrioni maschio su embrioni femmina è, subito dopo il concepimento e prima dell’impianto, di 180/100, per diventare al momento della nascita di 106/100. Lo stesso nei conigli, il rapporto maschi/femmina è di 122/100 in blastocisti di 6 giorni per ridursi a 105/100 al momento della nascita. Anche nella specie umana è stata ipotizzata un’eccessiva perdita di embrioni maschile durante la gestazione. Il rapporto maschi/femmina in embrioni al secondo mese di gestazione è di 150/100 per diventare di 132/100 alla fine del terzo mese e di 105/100 alla nascita(Jongbloet, 2004). E’ evidente quindi che un maggior numero di embrioni maschi vengono concepiti e vengono poi persi nel corso della gestazione, sia per anomalie cromosomiche che per un maggiore attrito esercitato su di essi dalla gravidanza stessa. Quando le condizioni gravidiche sono più sfavorevoli, come per esempio in presenza di embrioni multipli che competono per la sopravvivenza in utero, il rapporto tra maschi e femmine si riduce notevolmente (Jacobsen et al., 1999). Allo stesso modo è più probabile lo sviluppo di gravidanze trigemellari con tre femmine che di gravidanze trigemellari con tre feti maschi (Jacobsen et al., 1999). La maggiore perdita degli embrioni maschili al momento del concepimento, continua con la comparsa di un maggior numero di aborti spontanei cromosomicamente normali a carico del sesso maschile (Byrne e Warburton,1987; Ingemarsson, 2003), e con una maggiore natalità pretermine (Cooperstock and Campbell, 1996; Zeitlin et al., 2002; Ingemarsson, 2003; Vatten and Skjaerven, 2004). Anche la rottura prematura delle membrane, che spesso si associa ad un parto pretermine è più frequente nelle gravidanze con feti maschi (Mac Gillivray and Davey, 1985; Seki and Kato, 1987).
Alcune patologie della gravidanza colpiscono maggiormente i feti di sesso maschile. La sex ratio (rapporto maschi/femmina) è maggiore in gravidanze che sviluppano preeclampsia con parto a termine (Llopez-Llera, 1990; Vatten and Skjaerven 2004), placenta previa (Mac Gillivray et al., BMJ 1986; Javobivits and Zubek,1989; Demissie et al., 1999, James, 1995) o distacco di placenta (Javobivits and Zubek,1988, James, 1995).
Esistono tuttavia delle patologie più frequenti nelle gravidanze con feto femmina quali la placenta accreta e la gravidanza extrauterina (James,1995).
Una delle teorie per spiegare questi dati è che la determinazione del sesso fetale sia strettamente correlata con il profilo ormonale presente al momento del concepimento, e precisamente alte concentrazioni di estrogeni sarebbero associate al concepimento di maschi e basse concentrazioni al concepimento di femmine. Il profilo ormonale, secondo l’autore, sarebbe inoltre parzialmente responsabile della patologia che si svilupperà in seguito, quindi alte concentrazioni di estrogeni sarebbero parzialmente responsabili di distacco di placenta, preeclampsia e statosi epatica, e basse concentrazioni di estrogeni di placenta previa e gravidanza extrauterina (James 1995).
Dopo la nascita, la sopravvivenza a breve termine di neonati con basso peso è minore nei feti maschi (Stevenson et al., 2000) e sostanzialmente la mortalità perinatale risulta essere più alta nei maschi che nelle femmine di ogni età gestazionale (Naeye et al., 1971; Vatten and Skjaerven 2004). Questo è vero anche per la mortalità ad 1 anno (5.4% per i maschi vs. 4.1% per le femmine) (Ingemarsson, 2003). È stato visto che il rilascio di catecolamine (Ingemarsson, 2003) durante il travaglio di parto costituisce un importante meccanismo di difesa per ridurre l'ipossia fetale e i neonati femmine pretermine hanno una concentrazione ematica delle catecolamnie significativamente maggiore di quella dei maschi.
A prescindere dall’età gestazionale alla nascita i maschi risultano avere condizioni meno stabili rispetto alle femmine. I punteggi di Apgar a uno e a cinque minuti sono solitamente più bassi nei maschi che nelle femmine e più frequentemente i maschi necessitano di assistenza neonatologica (Stevenson et al., 2000). L'ipoplasia polmonare dopo rottura prematura delle membrane è significamente più diffusa tra i neonati di sesso maschile e le morti secondarie alla sindrome da distress respiratorio risultano essere percentualmente maggiori nei maschi. Ugualmente nei neonati maschi risulta essere peggiore il recupero cognitivo in conseguenza di un emorragia intracranica perinatale (Stevenson, et al., 2000; Ingemarsson, 2003).

Fattori materni in grado di Influenzare il rapporto maschio/femmina
Partendo dal concetto che il sesso maschile, più debole, risente maggiormente degli eventi avversi presenti al momento del concepimento e durante lo sviluppo embrionale, è evidente che la sua maggiore o minore espressione debba essere condizionata in maniera rilevante da fattori materni o interferenti con l’equilibrio endocrino-metabolico della madre.

CICLO MESTRUALE:
Vari studi effettuati sulla sex ratio avanzano la teoria che il ruolo degli spermatozoi X o Y nella determinazione del sesso fetale sia preceduto da fattori materni che provvedono all’accesso differenziale dello spermatozoo. Un ruolo critico, in questo processo, sarebbe svolto dagli ormoni prodotti dai follicoli ovarici.
Come già accennato, James (1985; 2001a) afferma che esiste una correlazione tra i livelli ormonali di entrambi i genitori al momento del concepimento e sesso fetale, precisamente un aumento dei livelli di estrogeni e androgeni sarebbe associato ad un aumento dei maschi, ed al contrario che alti livelli di gonadotropine presenti al momento del concepimento sarebbero associati con un aumento delle femmine. Varie evidenze sembrano sostenere quest’ipotesi. In alcuni studi è stato evidenziato un aumento dei maschi per i rapporti fecondanti avvenuti alcuni giorni prima dell'ovulazione (basse gonadotropine), e viceversa un minimo di maschi durante il picco ovulatorio delle gonadotropine, per poi riosservare un aumento dei maschi nei 2-3 giorni seguenti (Guerrero, 1974; Harlap, 1979).
Nella stessa ottica è l'evidenza ottenuta dall'osservazione che in matrimoni monogami, in cui il momento del rapporto sessuale è principalmente deciso dal partner maschile, esiste un rapporto maschi/femmine superiore che nelle relazioni poligame. In queste ultime, infatti, è più spesso la donna a decidere il momento dell'accoppiamento, che avviene più di frequente nel periodo periovulatorio in conseguenza dell'aumentato desiderio sessuale associato a questa fase del ciclo (Whiting, 1993). Ugualmente i concepimenti che avvengono in seguito al fallimento della contraccezione ormonale o al metodo del ritmo, sono associati ad una maggiore prevalenza di maschi in quanto il rapporto sessuale fecondante, avviene in un periodo probabilmente lontano dall'ovulazione (Shiono, 1982). Tali modificazioni del rapporto maschi/femmina non sono invece evidenti dopo i fallimenti di altri metodi contraccettivi come la IUD, i metodi barriera o i metodi chimici (Shiono, 1982). Al contrario, quando si interrompa il contraccettivo per ottenere la gravidanza, poiché i rapporti sessuali sono maggiomente mirati al periodo fecondo periovulatorio, si riduce la prevalenza di feti maschi (Pejtsik et al.,1990). E' opportuno tuttavia anche ricordare che altri studi effettuati sia su cicli spontanei che su cicli indotti non hanno riportato una variazione della sex ratio in dipendenza del giorno della fecondazione (Wilcox et al.,1995).
Weinberg e collaboratori (1995) hanno effettuato uno studio su 133 gravidanze e hanno trovato una relazione tra lunghezza della fase follicolare e sesso fetale, precisamente un ciclo con fase follicolare breve (ovulazione precoce) sarebbe legato a un eccesso di maschi, al contrario un ciclo con fase follicolare lunga, probabilmente caratterizzata da elevate gonadotropine e bassi ormoni sessuali, sarebbe legato a un eccesso di femmine. In verità questo studio potrebbe suggerire che in situazioni di difficoltà riproduttive, caratterizzate da una ovulazione più difficoltosa, una elevazione delle gonadotropine, più bassi livelli di ormoni steroidei ed un allungamento del ciclo mestruale favoriscano una maggiore produzione del sesso forte, ovvero del sesso femminile. Questa ipotesi, che trova conferma nelle variazioni del rapporto maschi/femmine legate all'età materna ed alle stagioni (vedi capitoli successivi), è in contrasto con l'ipotesi formulata da Jongbloet et al. (1996;2004) relativa alla PrOO (preovulatory overripeness ovopathy), una situazione caratterizzata da una fase follicolare lunga e da una non ottima maturazione dell’ovocita. Questa alterazione legata a stadi transizionali del pattern ovulatorio, indurrebbe una maturazione non ottimale dell’ovocita ed un aumento di maschi.

FECONDAZIONE ASSISTITA
Secondo alcuni autori l’induzione dell’ovulazione con clomifene citrato o gonadotropine induce una diminuzione della sex ratio probabilmete in conseguenza degli alti livelli di gonadotropine (James, 1985; Silverman et al. 2002). Secondo altri la riduzione della sex ratio in questi studi è essenzialmente dovuta all’ inclusione di soggetti subfertili e quindi predisposti a produrre più femmine (Dickey et al., 1995), o alla selezione degli spermatozoi effettuata durante la preparazione del seme per l’inseminazione (Dickey et al., 1995; Siverman et al., 2002).
Gli embrioni maschi sembrano avere un metabolismo più attivo ed uno sviluppo preimpianto più veloce rispetto alle femmine (Quintans et al., 1998; Ménézo et al., 1999). In effetti, Ray et al. (1998) hanno dimostrato che gli embrioni maschi mantenuti in coltura allo stadio di blastocisti, al secondo giorno di coltura hanno un numero di cellule significativamente maggiore rispetto agli embrioni femmine, e che questa differenza è mantenuta durante tutte le fasi dello sviluppo. Alcuni studi sono stati condotti sul rapporto tra maschi e femmine negli embrioni prodotti con tecniche di fecondazione in vitro. Pergament et al. (1994) hanno riportato una odds ratio di 6:1 nei maschi nati vivi quando la media del numero delle cellule al momento del transfer embrionale, effettuato al secondo giorno, era più di quattro, cioè venivano trasferiti embrioni con una più elevata attività mitotica. Un risultato simile è quello di Tarìn et al. (1995) che mostrano un aumento dei maschi esclusivamente quando il transfer embrionale è eseguito fatto precocemente cioé al secondo giorno, previlegiando in questo modo gli embrioni a più elevata attività mitotica.

ETA' MATERNA
L’aumento dell’ età rappresenta senza dubbio un fattore sfavorente per la riproduzione sia dal punto di vista endocrino che metabolico. Pertanto, sebbene non tutti gli studi siano concordi (Jacobsen et al., 1999; Gutierrez-Adan et al., 2000), varie evidenze supportano la teoria che l'aumento dell'età materna sia associato con una diminuzione dei maschi (James e Rostron 1985, James 1996). Tale effetto, è stato più recentemente confermato in donne di età superiore a 40 anni con gravidanze spontanee (Orvos et al., 2001), e in nullipare sottoposte a inseminazione artificiale (Bahadur, 2001). Il dato è maggiormente evidente in condizioni ancora più critiche come in donne grandi multipare che hanno cioè avuto più di 10 gravidanze (Juntunen et al., 1997).

FATTORI ENERGETICI E NUTRIZIONALI
In accordo con le evidenze che gli embrioni maschili mostrano una più rapida attività metabolica, è possibile che essi necessitino di maggiore energia. In effetti, sebbene non confermato (Langley-Evans and Langley-Evans, 2003), uno studio del 2003 (Tamimi et al., 2003) dimostra che in donne con gravidanza maschile l'introduzione giornaliera di calorie è maggiore del 10% che in donne con gravidanza femminile, (8%> di proteine, 9,2%> di carboidrati, 10,9%> di lipidi di origine animale, 14,9%> di lipidi di origine vegetale). Il segnale fetale responsabile di tutto questo potrebbe essere correlato alla produzione di testosterone da parte del testicolo fetale. In conseguenza di questo, un feto maschio richiede un maggiore impegno ai genitori, e soprattutto in situazioni più critiche, rallenta l’insorgenza di successive gravidanze ( Mace e Sear,1997).
D’altra parte è possibile che un feto maschio sia sfavorito in condizioni energetiche ridotte. Uno studio di Nager et al. del 1999, effettuato sugli uccelli, dimostra che quando la capacità di produrre uova di buona qualità diminuisce, la sex ratio devia verso le femmine. Questo fenomeno scompare quando le condizioni materne migliorano. In effetti, valutando la correlazione tra sex ratio e disponibilità calorica, in vari paesi del mondo, è stata evidenziata una correlazione positiva tra disponibilità calorica e percentuale di nati maschi (William e Gloster; 1992). Inoltre è stato evidenziato che con l'aumento della disponibilità calorica con la dieta aumenta anche la percentuale di nati maschi. Per esempio in uno studio condotto tra il 1946 e 1999, confrontando le nascite tra le due Germanie, è stato osservato che in un periodo particolare perché caratterizzato dal declino economico della Germania dell’Est, si è effettivamente riscontrato un calo della progenie maschile (con un picco negativo nel 1991) (Catalano R, 2003).
Uno studio effettuato su una comunità rurale dell'Etiopia (Gibson e Mace, 2003) ha dimostrato che c'è una forte correlazione tra sesso fetale e stato nutrizionale materno, e che ad un aumento della percentuale di grasso corporeo si associa un significativo aumento di nati maschi. Simili dati sono stati ottenuti in altri studi che hanno evidenziato come donne con un alto rapporto vita/fianchi tendono a concepire più maschi che femmine (Singh e Zambarano;1997).
Ugualmente anche in paesi industrializzati come l’Italia la riserva energetica della madre sembra svolgere un ruolo nella definizione del sesso fetale. Un peso materno (<54 kg) al momento del concepimento, si associa ad un ridotto concepimenti di maschi (Cagnacci et al., 2004). Uno studio effettuato su animali (Rivers e Crawford, 1974), mettendo a confronto la progenie di due gruppi, uno trattato con una dieta a basso contenuto lipidico e l'altro con una dieta di controllo, ha dimostrato che nel primo gruppo, in cui c'era una carenza di acidi grassi essenziali, la percentuale di nati maschi diminuiva in modo significativo.

MALATTIE MATERNE
Il diabete sembra indurre un deficit selettivo di alcuni acidi grassi liberi in gravidanza, che potrebbe associarsi ad un aumento della mortalità prenatale maschile, essendo stato ipotizzato che i maschi sono più sensibili al deficit di acidi grassi (Crawford et al., Lancet 1998). In effetti in alcuni studi è stata evidenziata una maggiore probabilità di concepire femmine rispetto a maschi in madri affette da diabete insulino-dipendente (Simpson, 1968; Rjasanowski e Kovacs,1998). Altri studi non supportano questa ipotesi. (Casson et al.,1997; Janssen et al., 1996; Møller e Jacobsen, 1998; Paterson, 1998). L’insorgenza di diabete di tipo II durante la gravidanza è associata ad una diminuzione della sex ratio (James 2001b).

GRAVIDANZA
Alcuni autori hanno suggerito che un intervallo breve tra le gravidanze è associato con un aumento di maschi (Greenberg e White 1967; James 1994a)
Alcune evidenze suggeriscono una relazione fra il sesso fetale e il sesso di una gravidanza precedente (James, 1975 Edwards, 1966), attribuendo questa relazione a una predisposizione individuale o di coppia a concepire feti di un determinato sesso o a una interazione in utero tra una gravidanza e quella precedente. Altri autori (Jacobsen et al., 1999) non hanno trovato differenze significative nella sex ratio di nati dopo tre maschi rispetto ai nati dopo tre femmine (52,0 vs 52,8).

FATTORI PATERNI
ETA’
Anche per i padre viene presa in considerazione l’età, ed il fatto che con il suo procedere cali la possibilità di generare maschi (Davis et al.,1998; Nicolich et al., 2000). Con l’ avanzare dell’età è possibile che la diminuzione dei livelli di androgeni induca una diminuzione degli spermatozoi che portano il cromosoma Y (Szilard, 1960) o della loro capacità fecondante (James, 1987).
Uno studio danese (Jacobsen et al., 1999) conferma tale dato evidenziando come l’età paterna presa singolarmente, o in rapporto all’età della madre o all’ordine dei parti, influisca negativamente sulla sex ratio. Infatti, il numero dei nati maschi cala in maniera significativa quando il padre ha più di 40 anni rispetto a quando ha meno di 25. E’ possibile anche che con l’aumento dell’età si riduca il numero di rapporti e quindi si riduca la probabilità che questi vengano effettuati in un periodo del ciclo lontano dall’ovulazione, fatto questo associato ad una maggiore produzione di maschi (James, 1985; 2001a). Altri studi riportano che anche la differenza d’ età tra i genitori abbia un valore nella possibilità di partorire una determinata progenie, cioè maggiore è la differenza di età tra i genitori maggiore è la possibilità di avere figli maschi (Manning et al.,1997; Astolfi e Zonta, 1999a; Juntunen et al., 1997).

Fattori Razziali
In un lavoro (Marcus et al. 1998) che ha valutato la popolazione di 9 stati americani in un lasso di tempo dal 1969 al 1995, è stato evidenziato che nelle coppie interraziali la madre di colore continuava ad avere una sex ratio maggiore di quella bianca. Altri studi affermano invece che nelle coppie inter-razziali sia il padre a determinare il sesso del nascituro, e che gli uomini bianchi fossero quelli che avevano una maggior sex ratio (Khoury et al., 1984; Nicolich et al., 2000).

FATTORI ESTERNI
STRESS
Lo stress, sia fisico che psicologico, di sicuro influisce sulla capacità procreativa degli individui, sia uomini che donne. Gli eventi stressanti hanno un sicuro effetto negativo nella fase precoce della gravidanza, ed inducono aborti in utero che tendono a colpire la progenie maschile (Zonta,1996).
A conferma della teoria per cui eventi avversi possono avere effetto sulla sex ratio influenzando il momento del concepimento, un gruppo Danese ha condotto un ampio studio su questi fattori. Ha così dimostrato che avvenimenti comuni e quotidiani, come malattie, ricoveri in ospedale, la morte del partner o stress psicologici a carico dei genitori, influenzando la componente ormonale, l’attività sessuale e la qualità del seme sono in grado di provocare una diminuzione della sex ratio (Hansen et al., 1999).
Uno studio condotto su pazienti con sclerosi multipla (James, 1994b) ha mostrato una diminuzione della sex ratio nei nati da padri malati solo dopo l’insorgenza della malattia. L’ ipotesi è che l’ insorgenza di questa malattia provochi un forte stress psicologico e conseguentemente una diminuzione dei livelli di testosterone.
Altro esempio di come lo stress possa influenzare la sex ratio è fornito dalla posizione sociale dei genitori all’ interno di un gruppo. Studi effettuati sulle specie animali e in particolare sulle scimmie hanno messo in evidenza che la madre, a seconda del suo stato di dominanza all'interno del gruppo, è in grado di condizionare il sesso del nascituro. Scimmie dominanti sono infatti in grado di produrre più maschi rispetto alle femmine non dominanti (Trivers e Willard, 1973).
Il concetto di dominanza, stato sociale e sex ratio dei figli è stato affrontato anche in due studi sulla specie umana. In uno studio (Grant,1996) è stato ossevato che donne più “dominanti”, ossia più autorevoli e autoritarie, hanno maggiori probabilità rispetto ad altre di concepire maschi. In un’ altro studio (Zonta et al.,1996) è stato evidenziato che in madri meno favorite dal punto di vista riproduttivo in termini di stato socio-economico, livello culturale e condizioni biologiche (>39 anni), la selezione precoce contro i maschi è quasi doppia rispetto a quella contro le femmine. E’ stato anche riportato che uomini di stato sociale superiore abbiano una maggior possibilità di avere una progenie maschile (James, 1987), mentre quelli che occupano le classi sociali più basse siano sottoposti a stress fisici e psicologici maggiori, con conseguente riduzione degli ormoni sessuali e nascita di un maggior numero di figlie femmine.
Per valutare il peso degli effetti stressanti sul sesso della progenie sono state prese in considerazione anche situazioni estreme, acute, come lo studio di un evento naturale importante come il terremoto che ha colpito il Kobe nel 1995. Un mese dopo il terremoto, si era documentato un calo della motilità degli spermatozoi (Fukuda et al. 1996), poi risoltosi, che si era associato dopo nove mesi ad una importante diminuzione delle nascite (-6%) e della sex ratio (Fukuda et al. 1998).
Altro evento straordinario e denso di angosce ed inquietudini è rappresentato dalla guerra.
La guerra in Slovenia del 1991, è stata molto breve, solo 10 giorni, e questo avrebbe comportato uno stress psicologico molto intenso che avrebbe fatto diminuire temporaneamente i livelli degli ormoni sessuali e conseguentemente l’attività sessuale, la qualità degli spermatozoi e la loro motilità (studi risalenti agli anni 70 riportano come i soldati avessero bassi livelli di testosterone, ed androgeni e di conseguenza un’alterata spermatogenesi) (Zorn et al., 2002). Analizzando i dati si vede come proprio nella capitale Lubiana, sotto il costante bombardamento, si avesse il picco negativo di nascite maschili.
Anche la guerra in Iran-Iraq (1980-1988) ha indotto un calo della sex ratio. In questo caso la spiegazione sarebbe diversa, perché oltre al forte stress, che di sicuro si era verificato per la paura continua dei bombardamenti, qui è possibile che l’utilizzo di armi chimiche abbia contribuito a generare la predominanza di femmine rispetto ai maschi (James, 2003).
Diversi sono i dati che si riferiscono alle due grandi Guerre mondiali (James, 1987). In questo caso le popolazioni direttamente coinvolte nei conflitti bellici hanno avuto un aumento delle nascite di maschi durante e nel periodo subito successivo alla guerra stessa. Riguardo questo argomento Graffelman e Hoestra (2000) hanno pubblicato un’analisi statistica più approfondita, condotta sulle nascite nell’ultimo secolo in 10 stati coinvolti nel conflitto. Effettivamente essi hanno riscontrato in 8 stati sui 10 analizzati (Danimarca, USA; UK, Austria, Belgio, Francia,Olanda, Germania) un picco significativo della sex ratio durante e dopo le due Guerre mondiali. Solo l’Italia e la Spagna discordavano da questo andamento. Tali dati sono stati spiegati con un aumento della frequenza dei rapporti (durante i brevi periodi di licenza), e quindi, con una maggior possibilità di fecondazione in fase precoce o tardiva del ciclo, quella più proficua per i maschi. Manning et al. (1997) inoltre studiando la popolazione inglese e scozzese, aveva notato come, nel dopo guerra, in corrispondenza con l’aumento della sex ratio ci fosse anche un aumento della differenza di età tra i genitori, fatto questo associato ad un aumento della sex ratio.

TREND TEMPORALE ED INDUSTRIALIZZAZIONE
Diversi autori che hanno valutato le variazioni della sex ratio nel tempo, prendendo come punto di partenza il periodo post-bellico, in cui in molti paesi si era assistito ad un aumento della sex ratio, ne hanno erroneamente documentato una diminuzione più o meno accentuata (van der Pal-de Bruin et al.,1997). Una delle ipotesi maggiormente invocata, è che il calo fosse dovuto ad un’aumento dell’inquinamento ambientale (Vartiainen et al., 1999). Tuttavia, in un lavoro che copre un periodo che va dal 1950 al 1990 e 29 nazioni su 5 continenti, è stato evidenziato che la sex ratio non ha modificazioni univoche: diminuita in 16 nazioni (del Nord ed Est Europa, insieme a Grecia, Portogallo e Messico), aumentata in altre 6 ( Sud Europa ed Australia) e rimasta costante in altre 7 (Parazzini et al. 1998).
Studi effettuati in Finlandia (Jongbloet et al., 2001; Voracek e Fisher, 2002) ed in Danimarca tra il 1850 ed il 1995 (Moller,1995) evidenziano un calo dopo le guerre, ma affermano che la sex ratio non è diminuita se confrontata con i periodi pre-bellici.
Astolfi e Zonta (1999b) hanno eseguito un’analisi più sofisticata riferendo che nel periodo tra il 1971 e 1995 la sex ratio tra 4 grandi città Italiane tende a diminuire, mentre in zone definite rurali, tende all’aumento. Inoltre si vede come nelle città più evolute ci sia un calo del numero dei maschi anche con il numero delle gravidanze. Tutto questo può essere equiparato ai risultati ottenuti in Europa (tra il nord più industrializzato ed il sud meno progredito) e può essere messo in rapporto alla maggior incidenza di fattori di rischio ambientali (inquinanti), ma anche alla possibilità di un’ età del parto posticipata in soggetti di maggior educazione e cultura, a rapporti meno frequenti ed alla maggior latenza tra due gravidanze successive.
Davis et al.(1998) riportano che nelle zone industrializzate si è visto che 1 coppia su 5 ha problemi riproduttivi, e questo può essere messo in relazione con l’esposizione ad ormoni, tossici con azione simil-ormonale ed agenti nocivi, che possono influenzare, in base alla dose, anche cambiamenti molto precoci nell’embriogenesi. Naturalmente sono più sensibili ad agenti intossicanti quelle cellule che hanno una replicazione più rapida ed incorporeranno più velocemente gli errori di riproduzione, e per questo motivo, il feto maschio è il più esposto a questo tipo di azione esterna anche per quello che riguarda la determinazione del sesso. Tuttavia un altro lavoro effettuato tra il 1989 e 1993, mostra come, in Italia, la sex ratio rimanga alta anche nelle zone altamente inquinate, diminuendo appena nelle maggiori città (Figa-Talamanca et al. 2003).

FATTORI INQUINANTI
Vari studi sono stati condotti per valutare l’effetto sulla sex ratio di inquinanti ambientali, come i derivati del propano.
Già nel 1984 (Potanshnik et al. 1984) si notava come l’esposizione di uomini al dibromocloropropano (DBCP), porta ad una azo/oligoastenospermia, che se effettuata in vicinanza del concepimento induceva una diminuzione della sex ratio.
Anche sulla diossina, il prodotto più tossico creato dall’uomo, sono stati condotti numerosi studi. Nel disastro di Seveso, del 1976, l’esposizione a diossina dei maschi ha indotto una riduzione della sex ratio (Mocarelli et al., 2000; Yoshimura et al., 2001), evidente anche in lavoratori esposti alla diossina o composti simili (Moshammer e Neuberger, 2000) L’esposizione del padre alla diossina o simili sembra essere più importante dell’esposizione materna (Del Rio Gomez et al., 2002). Infatti in altri studi in cui si è valutata soprattutto l’esposizione delle madri (Del Rio Gomez et al., 2002) si è visto che non si era verificato un calo dei maschi alla nascita. Probabilmente la diossina ha effetti negativi sullo spermatozoo che porta l’Y o esercita effetti sui recettori steroidei che possono influire sulle cellule riproduttive (Del Rio Gomez et al., 2002). L’effetto della diossina sembra essere più importante durante le fasi dello sviluppo o in giovani uomini (Moshammer e Neuberger, 2000; Del Rio Gomez et al., 2002), e soprattutto in questi casi perpetuarsi nel tempo. Infatti soggetti, esposti in età prepuberale o puberale alla diossina, generano molti anni dopo figli con una bassa sex ratio (Mocarelli et al., 2000).
Anche l’effetto del fumo è stato valutato. Dividendo i genitori in tre gruppi, in base al numero di sigarette fumate, Fukuda et al. (2002) hanno dimostrato come nella progenie di una coppia di forti fumatori si avesse una minor sex ratio rispetto ad una in cui nessuno dei genitori fumava. Inoltre si è visto che anche avere solo uno dei due genitori fumatori influisce negativamente sulla nascita di maschi. Questo può essere spiegato anche partendo dal fatto che il fumo ha effetti antiestrogenici e tossici nella donna e forse abbassa i livelli di testosterone nell’uomo, favorendo così lo sviluppo di una progenie femminile (James, 1987)

RADIAZIONI
Studi condotti sull’esposizione a radiazioni ionizzato hanno affermato risultati discordanti, perché di numero esiguo e svolti su campioni piccoli e molto diversi tra loro. Soggetti sottoposti a radiazioni ionizzanti, perchè impiegati nell’industria nucleare in UK, non hanno dimostrato una variazione della sex ratio nella progenie concepita prima o dopo l’esposizione (Machonochie et al., 2001). Simili dati sono stati ottenuti con l’ esposizione a radiazioni ionizzanti nel periodo periconcezonale (Dickinson et al.,1996). Ugualmente la radioterapia effettuata durante l’infanzia non sembra avere effetti sulla sex ratio della progenie (Winther et al., 2003).
Sembrerebbe invece che l’esposizione ai raggi X nei radiologi comportasse una riduzione della sex ratio (Hama et al., 2001).

TEMPERATURA E FOTOPERIODO
Mc Lachlan e Storey (2003), partendo dallo studio sugli animale omeotermi, arrivano ad ipotizzare che ci sia un’azione della temperatura a carico dell’attivazione del gene SRY, che avrebbe il ruolo di iniziare la cascata che porta al fenotipo maschile.
In effetti la temperatura assieme al fotoperiodo è uno dei due fattori ambientali implicati nella regolazione della riproduzione stagionale (Ronnenberg e Aschoff, 1990; Cagnacci e Volpe, 1996).
Un aspetto interessante è che all'interno di ogni stato l'andamento ritmico dei concepimenti risulta essere simile per tutti gli individui, ma la sua ampiezza tende a diminuire in quella parte di popolazione che vive in condizioni ambientali più costanti. Pertanto l'andamento ritmico risulta essere meno pronunciato nelle città piuttosto che nelle campagne nei bianchi americani piuttosto che nei non bianchi americani, nei figli legittimi piuttosto che nei figli illegittimi. L'ampiezza dell'andamento ritmico inoltre aumenta spostandosi dall'equatore verso le regioni polari, e la fase, definita come il periodo in cui avviene il massimo dei concepimenti, passa progressivamente dall'equinozio di primavera a quello autunnale. In accordo con una presunta maggiore fragilità delle gravidanze di maschi piuttosto che di femmine è stato valutato se la sex ratio delle gravidanze vitali fosse più alta in stagioni più favorevoli alla riproduzione (Cagnacci et al., Hum Reprod 2003). In effetti la sex ratio valutata al momento del concepimento ha mostrato avere un ritmo stagionale con ampiezza di 2.4% e valori picco in ottobre. Il ritmo era in fase con il ritmo dei concepimenti. La sovrapposizione dei due ritmi supporta fortemente l'ipotesi che i maschi siano concepiti in stagioni più favorevoli per la riproduzione.

CONCLUSIONI
Dalla moltitudine di dati presenti in letteratura sui fatti in grado di modulare il sesso del nascituro emerge una ipotesi che sembra raccogliere la maggior parte delle evidenze.
La considerazione iniziale di questa ipotesi è che il sesso maschile sia più fragile di quello femminile, e per questo risenta maggiormente dei fattori di attrito presenti durante la gravidanza.
La presenza di un minore o maggiore attrito viene iniziato nelle prime fasi del concepimento da un migliore o peggiore equilibrio endocrino o metabolico. Un minore attrito esercita un minore effetto negativo sui maschi particolarmente sensibili e quindi fornisce un aumento della sex ratio. L’effetto modulatorio può essere esercitato anche sul padre o sulla coppia nel suo insieme. E’ opportuno tuttavia notare che per avere una sex ratio spostata in senso maschile, la natura non deve esercitare solo un minore o maggiore attrito sul sesso maschile, ma promuovere la fecondazione di feti maschi nelle condizioni più favorevoli.
L’aumento stagionale della sex ratio parallelo alla capacità riproduttiva è un buon esempio di questo meccanismo. E’ proprio attraverso questi meccanismi che è garantito un ugual numero di individui più fragili (maschi) e più forti (femmine) in epoca riproduttiva postnatale, e con il mantenimento dell’ equilibrio riproduttivo è favorito il perpetuarsi della specie.

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