Amenorrea ipergonadotropa



AMENORREA IPERGONADOTROPA

Walter Vegetti, Federica Alagna

Unita Operativa Sterilità di Coppia ed Andrologia I.R.C.C.S. Ospedale Maggiore Policlinico, Mangiagalli e Regina Elena Milano, Italia

INTRODUZIONE

Il termine "menopausa precoce" ("premature ovarian failure" -POF-) definisce una sindrome che si esprime con insufficienza ovarica e deplezione oocitaria prima dell'età della menopausa fisiologica. Questa sindrome è caratterizzata quindi da amenorrea primaria o secondaria con anovulazione della durata di almeno 6 mesi, gonadotropine sieriche elevate (FSH>40 UI/L in almeno due dosaggi) e ipoestrogenismo in donne di età inferiore ai 40 anni (1).
L'incidenza della POF nella popolazione generale è stimata intorno all'1%; tra le donne con amenorrea primaria è tra il 10% e il 28% e tra le donne con amenorrea secondaria la percentuale raggiunge il 4-18 % (1-3).
Se si considera invece un'età della menopausa anticipata ma compresa tra i 40 e i 45 anni, posta un'età della menopausa fisiologica a 50±5 anni, l'incidenza di menopausa prematura nella popolazione generale può arrivare al 10% (3). Questa situazione di menopausa tra i 40 e i 45 anni può mostrare le medesime caratteristiche eziopatogenetiche e di familiarità della menopausa precoce vera (4)
Il termine "premature ovarian failure", ossia insufficienza ovarica prematura, è da preferire al termine "menopausa precoce" poiché non tutte queste pazienti hanno una completa e definitiva cessazione della loro attività ovarica: sono descritti infatti sia segni endocrini di attività ovarica residua (5), sia presenza di strutture follicolari all'ecografia (6), sia ovulazione e gravidanza in varie serie di pazienti a cui era stata diagnosticata una POF (7-9). Del resto è possibile rinvenire all'esame bioptico delle ovaie la presenza di follicoli primordiali in pazienti che presentano un quadro clinico e di laboratorio di POF (10).
L'età alla menopausa non sembra influenzata dall'età al menarca e dalla parità o da malattie sistemiche o genitali, mentre sono segnalate anticipazioni dell'età alla menopausa correlate al fumo di sigaretta e a stati di denutrizione gravi (ad esempio in popolazioni africane). Il determinante più importante dell'età alla menopausa sembra però essere il numero di follicoli ovarici e l'età della menopausa della madre.

EZIOPATOGENESI
La POF è una entità che può presentare cause diverse ma nella maggior parte dei casi resta ancora una patologia idiopatica. Una possibile e semplice classificazione può essere impostata a seconda della causa.

CAUSE GENETICHE

La maggior parte delle pazienti affette da POF presenta un cariotipo normale; il 30 % di esse ha una parente stretta (madre, zia o nonna) con cessazione dei cicli mestruali nei primi 40 anni di vita (11, 12). Una storia familiare positiva per questo fenomeno può essere solo una dimostrazione indiretta che la deplezione oocitaria potrebbe essere di tipo ereditario. La POF può essere a trasmissione familiare, mostrandosi come carattere autosomico dominante o legata al sesso, oppure può esprimersi come caso sporadico, conseguente a possibili mutazioni genetiche de novo o ad eziologia tuttora sconosciuta. E' possibile infatti ed anzi probabile che molti casi di POF idiopatica siano in realtà riconducibili ad anomalie geniche non ancora identificate, ad esempio mutazioni puntiformi o difetti coinvolgenti numerosi geni. Tra le cause genetiche sono riconoscibili anomalie cromosomiche numeriche e strutturali e difetti da gene singolo: tutte queste situazioni sono discusse in un altro articolo di questo fascicolo.

AUTOIMMUNITA' E POF
Il concetto dell'autoimmunità quale causa di POF si basa sul riscontro in una certa percentuale di queste pazienti di anticorpi anti-ovaio e dell'associazione della POF con altre malattie autoimmuni o disendocrinopatie, che ricorre nel 20 % dei casi, secondo Friedman (13), e in una percentuale variabile dal 13 al 66 % secondo Cohen e Speroff (14).
Allo stato attuale l'evidenza di una eziologia autoimmune è supportata chiaramente solo in associazione con autoimmunità surrenalica o sindrome di Addison dalle seguenti osservazioni :
- presenza nelle pazienti con Addison e POF di anticorpi contro le cellule produttrici steroidi in percentuale tra il 60-100% rispetto al 10-20% nei casi di Addison senza POF e a <1% nei controlli (14-17).
- presenza di antigeni comuni tra le cellule surrenaliche e quelle ovariche (18-20)
- riscontro istologico di infiltrati di linfociti e plasmacellule nel parenchima ovarico nelle pazienti con Addison e POF (17, 21), quadro invece molto raro in presenza di POF non associata ad Addison (22)
- esistenza di modelli animali di patologia autoimmune e ooforite con failure ovarica (23)
Esistono poi alcune circostanze che sembrano suggerire una patogenesi autoimmune anche in casi di POF idiopatica, in assenza di patologie autoimmune concomitanti o di di Addison:
-presenza di anomalie della risposta immune cellulo-mediata nelle pazienti con POF, simili a quelle osservabili in pazienti con diabete mellito tipo I, malattia di Graves o di Addison (24, 25): queste anomalie sono numeriche e funzionali e coinvolgono i monociti periferici e sottopopolazioni di linfociti T e B
- associazione di POF a diabete mellito tipo I e Miastenia gravis (17)
Non sembra invece conclusiva la presenza di vari tipi di autoanticorpi nel siero di molte pazienti affette da POF: molti autori li hanno riscontrati utilizzando svariate metodiche (vedi rif. 17 per review) ma la loro presenza nel siero di pazienti POF potrebbe essere una conseguenza piuttosto che la causa della malattia. Inoltre la variabilità dei dati sugli anticorpi potrebbe riflettere il possibile diverso stadio della malattia, il diverso metodo di indagine utilizzato e la diversa potenzialità immune dei bersagli. Infatti nessun test è comunque sufficientemente standardizzato e nessuna correlazione è stata finora dimostrata tra presenza di anticorpi antiovaio e istologia ovarica.
Un'altra evidenza avversa alla genesi autoimmune della POF idiopatica è la bassissima incidenza di segni flogistici di ooforite nelle biopsie ovariche di pazienti POF in presenza di soli autoanticorpi e in assenza di malattie autoimmuni clinicamente evidenti (17).

CAUSE IATROGENE
A) RADIOTERAPIA
L'effetto delle radiazioni dipende dall'età, dalla dose dei raggi X (26) e dal territorio di irradiazione, essendo i raggi X molto più dannosi se diretti sull'ovaio senza una schermatura.
Una dose superiore a 800 rads sulle ovaie induce una sterilità permanente nel 100 % dei casi (13, 14, 27), mentre, se l'ovaio viene schermato, la dose di radiazioni ricevute dalla gonade scende a 350-400 rads e ciò consente il mantenimento della funzione ovarica nel 59 % dei casi (14) o il ripristino di uno stato eugonadotropo ad una distanza di tempo variabile e non definibile (28-31).
L'età a cui l'irradiazione viene effettuata costituisce una importante variabile, dipendendo da essa il numero di oociti presenti nell'ovaio.
B) CHEMIOTERAPIA
Gli agenti alchilanti (ciclofosfamide, busulfan) rappresentano una categoria di sostanze molto tossiche per le ovaie (13, 14). Altri agenti chemioterapici possiedono una potenziale tossicità, ma sono stati meno studiati.
I farmaci antineoplastici più frequentemente associati all'insorgenza di insufficienza ovarica sono stati suddivisi in tre classi (32):
1) Farmaci sicuramente causa di fallimento ovarico: ciclofosfamide, busulfano, mostarde azotate;
2) Farmaci che poco probabilmente determinano un danno ovarico: methotrexate, 5-fluorouracile, 6-mercaptopurina;
3) F la cui tossicità ovarica è sconosciuta: doxorubicina, bleomicina, alcaloidi della vinca (vincristina, vinblastina), cisplatino, nitrosourea, citosina arabinoside.
Mentre è incerto se sussiste una correlazione tra dose del chemioterapico e danno ovarico (28, 29), indiscussa è la correlazione con l'età: donne di età inferiore a 30 anni presentano maggiori possibilità di mantenere una funzionalità ovarica, anche se sussiste il rischio di sviluppare POF negli anni successivi alla chemioterapia (33).

CAUSE INFETTIVE
Nonostante le ovaie siano frequentemente coinvolte nella PID, raramente la loro funzionalità risulta compromessa in modo irreversibile.
L'ooforite da virus parotitico rappresenta la malattia infettiva più comune responsabile di danno ovarico (34). Si stima che circa il 5% delle donne affette da parotite, anche subclinica, presenti un coinvolgimento ovarico e se esposte al virus durante la pubertà o il periodo fetale hanno maggiore probabilità di sviluppare una POF (34).
La tubercolosi pelvica è responsabile in circa il 3% dei casi di POF per distruzione del parenchima ovarico (35).

MALATTIE SISTEMICHE
La galattosemia e la mucopolisaccaridosi si associano a POF (36-38).
La mucopolisaccaridosi agisce con un effetto tossico diretto, dovuto all'accumulo nel parenchima ovarico dei prodotti non metabolizzati, con conseguente distruzione follicolare. Per la galattosemia, invece, sono vari i meccanismi causali implicati.

MENOPAUSA PRECOCE IDIOPATICA
La diagnosi viene formulata per esclusione delle cause citate precedentemente. Oltre L'80% dei casi di POF si colloca in questo gruppo. La presenza del 30% di familiarità per POF in queste pazienti fa sospettare fortemente una eziologia genetica ereditaria (12).

RILIEVI CLINICI
Le manifestazioni cliniche sono estremamente eterogenee: in relazione all'epoca di sviluppo in cui si è completata la deplezione follicolare, alcune pazienti presentano una pubertà ritardata o mancato sviluppo puberale, altre sperimentano la menopausa dopo la pubertà o dopo una fisiologica storia riproduttiva caratterizzata da cicli mestruali regolari od oligomenorroici (9).
Il pattern di crescita follicolare e l'assetto ormonale presentano le stesse caratteristiche riscontrabili nello stadio perimenopausale che, in un continuum, si conclude con la menopausa (39).
A questo proposito, il riscontro di elevati valori basali (entro il 5° giorno di un ciclo mestruale) di FSH (> 10 UI/L) durante il periodo riproduttivo, in donne con cicli mestruali regolari ed ovulatori, costituisce la manifestazione più precoce del declino della funzionalità ovarica ("ovarian ageing").
I sintomi e segni di menopausa precoce conseguenti all'ipoestrogenismo sono paragonabili a quelli osservabili nelle donne con menopausa fisiologica e consistono in:
amenorrea primaria o secondaria, vampate di calore e sudorazioni da instabilità vasomotoria, dispareunia, ansietà, depressione, insonnia e labilità, emotiva da instabilità psicologica, modificazione dell'immagine corporea
Le conseguenze a breve e lungo termine sono: atrofia dei tegumenti delle mucose e secchezza vaginale, incontinenza urinaria da instabilità vescicale, osteoporosi, alterazioni dell'assetto lipidico e aumento del rischio cardiovascolare.

DIAGNOSI E PROGNOSI
La menopausa precoce non deve sempre essere intesa come una condizione irreversibile, in quanto esistono diverse segnalazioni che documentano la ripresa spontanea della funzionalità ovarica e/o l'instaurarsi di una gravidanza (7, 40-42).

Livelli elevati di FSH non rappresentano un indice definitivo di completo esaurimento ovarico.
Rebar (9) ha evidenziato un'ovulazione in circa il 20% dei casi di POF, successivamente alla diagnosi. Anche O' Herlihy (43) ha dimostrato che in più del 25% dei casi di POF si è ripristinata una funzionalità ovarica, dopo 1-5 anni dalla diagnosi. Nonostante tali osservazioni, risulta difficile, se non impossibile, prevedere la reversibilità di una POF.
Rebar (9) ha proposto una valutazione settimanale per 1 mese, periodicamente, di FSH, LH, 17-beta-estradiolo (E2).
Se E2 è superiore al range che definisce la postmenopausa (E2 < 50 pg/ml) ed il rapporto FSH/LH è < 1, espressione di attività ovarica, è possibile monitorare la crescita follicolare spontanea o tentare una terapia con gonadotropine esogene. In questo caso però i risultati sono solitamente deludenti. L'ecografia transvaginale rappresenta la metodica strumentale più idonea per valutare la presenza di follicoli ovarici (6).
La biopsia ovarica non consente di porre una diagnosi attendibile di menopausa, in quanto non rappresentativa dell'intero parenchima ovarico; inoltre l'assenza di follicoli non esclude un ripristino spontaneo della funzionalità ovarica. Allo stato attuale pertanto non riteniamo utile e informativa la biopsia ovarica laparoscopica e riteniamo non debba più essere eseguita in queste pazienti: i rischi legati alla procedura chirurgica non la giustificano. Un approccio proponibile consiste nell'associare una metodica strumentale, come l'ecografia transvaginale, alla valutazione ormonale per definire se esista una attività follicolare ovarica (44).
L'approccio per una diagnosi eziologica della menopausa comporta l'esecuzione di una accurata anamnesi, con enfasi particolare posta su eventuale familiarità con la raccolta dell'albero genealogico, sull'anamnesi chirurgica pelvica, su eventuali patologie autoimmuni e sistemiche associate. Occorre indagare la presenza di sintomi vasomotori e da carenza estrogenica, così come il pattern mestruale. L'esecuzione di almeno due prelievi per il dosaggio di FSH è, come detto, diagnostico se i valori sono in entrambi i casi superiori a 40 UI/L, in associazione ad amenorrea da almeno 6 mesi. Ai fini della diagnosi patogenetica è utile un cariotipo per escludere una anomalia cromosomica. Altre indagini molecolari come ad esempio lo studio per la premutazione FRAXA sono attualmente disponibili solo per uso di ricerca (45, 46).
Secondo alcuni autori è utile anche una valutazione del cortisolo, della funzionalità tiroidea e, se la funzionalità tiroidea fosse anormale, anche degli anticorpi antitiroide. Può anche essere utile la valutazione del fattore reumatoide e degli anticorpi antinucleo (26). Un test all'ACTH non è necessario se non c'è sospetto clinico di Addison e se gli altri esami di laboratorio sono normali. (Tabella 3).
La prognosi riproduttiva di queste pazienti è una infertilità praticamente irreversibile, cosa che spesso produce traumi psicologici, e che è vissuta come il vero problema dalle pazienti soprattutto di età più giovane e ancora senza prole.
Un altro problema sono i rischi a lungo termine di una situazione di menopausa precoce: questi rischi sono quelli presenti anche in situazione di menopausa fisiologica e sono correlati alla prolungata condizione di ipoestrogenismo (osteoporosi, rischio cardiovascolare, incontinenza e cistiti ricorrenti). Il dato importante è che essendo anticipata l'età di ingresso in menopausa, per queste pazienti è anticipata anche l'età di possibile insorgenza di tutte le patologie legate all'ipoestrogenismo.
Indagini come la densitometria ossea a livello vertebrale, indagini ematochimiche, ecografia mammaria e/o mammografia sono il preludio ad una terapia ormonale, che deve essere suggerita non solo in caso sia già evidente un rischio di osteoporosi o di malattia cardiovascolare ma anche come prevenzione primaria di queste patologie.

POSSIBILITA' TERAPEUTICHE
Una terapia in grado di ripristinare una corretta funzione ovarica non esiste. Sono state proposte terapie immunosoppressive corticosteroidee associate o meno a plasmaferesi in caso di POF da causa autoimmune, ma i risultati sono sporadici e non confermati, tenendo anche conto dei possibili effetti collaterali di questi approcci terapeutici. (47, 48).
La terapia deve essere dunque volta a correggere i sintomi, in particolare quelli legati all'ipoestrogenismo e alle sue conseguenze future (cardiopatia, osteoporosi) e comporta l'uso di estroprogestinici sotto forma di contraccettivi orali o la terapia ormonale sostitutiva classica, per via orale o transcutanea e secondo i tradizionali schemi di somministrazione, tenendo anche conto delle richieste e dei sintomi della paziente.
L'atteggiamento comune è di proseguire la terapia fino ad una età compatibile con una menopausa fisiologica (circa 50 anni), quindi magari per alcune decadi: non si hanno però dati sulla sicurezza della terapia ormonale sostitutiva in queste pazienti per tempi così lunghi. Infatti i dati sulla popolazione di donne in menopausa fisiologica non possono essere estrapolati e applicati a questa categoria di pazienti che ha avuto una esposizione agli estrogeni endogeni molto più breve delle donne in menopausa fisiologica (49).
Si è presunto che lo stato ipergonadotropo svolga un ruolo causale nella mancata responsività ovarica. Diversi sono i tentativi per ripristinare una condizione eugonadotropa (48, 50): in alcuni casi si è instaurata una gravidanza durante terapia ormonale sostitutiva o alla sospensione di essa o di un ciclo di terapia contraccettiva. Questo è stato spiegato postulando un effetto "rebound" delle gonadotropine, successivo alla sospensione della terapia ormonale sostitutiva, che costituisce il meccanismo "trigger" alla base della maturazione follicolare e conseguente ovulazione (44).
Un'altra ipotesi suggerisce che la soppressione dei livelli elevati di FSH consenta il ripristino dei suoi recettori, precedentemente inibiti per down-regulation (8, 51-53).
Altri autori (42) non concordano con tale affermazione: secondo essi, la riduzione della resistenza alle gonadotropine, con ripristino spontaneo della funzionalità ovarica, si verificherebbe casualmente, senza alcuna relazione all'assunzione di terapia estrogenica.
Allo stato attuale si può però affermare che le possibilità di una gravidanza spontanea o indotta per una paziente POF sono assolutamente minime: l'ovodonazione, oltre all'adozione, rappresenta dunque l'unica reale possibilità di soddisfare il desiderio di maternità in donne che lo richiedano (54), ma è vietata in Italia dalla legge 40 del 2004.
Un aspetto interessante e da non sottovalutare è l'importanza del counselling familiare: l'identificazione di famiglie a rischio per POF consente di attuare una "prevenzione," indirizzando a una riproduzione più precoce i membri ancora normomestruanti della famiglia a rischio di presentare POF in futuro (11, 12). La migliore conoscenza in futuro dei meccanismi patogenetici e dei difetti genetici alla base della POF potrà permettere di identificare con sicurezza quelle donne che sono destinate a sviluppare la patologia.

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