Amenorrea nelle obese



AMENORREA NELLE OBESE

Guido M., Giuliani M., Cristello F., Romualdi D., Selvaggi L., Lanzone A.

L'obesità negli ultimi anni ha subito un rapido e costante aumento in Italia e in Europa. Già dalle prime valutazioni epidemiologiche risulta evidente che le donne obese presentano una percentuale di disordini mestruali funzionali notevolmente superiore rispetto al gruppo di controllo e tali disordini sembrano essere strettamente correlati al grado di obesità (Tabella1). Un recente studio infatti dimostra come il sintomo oligo-amenorrea sia presente nel 19% delle pazienti con ideal body weight (IBW) del 110-150% mentre in soggetti con IBW superiore al 175% l'oligoamenorrea sia presente nel 54% dei casi.(Castillo-Martinez 2003). Questa condizione può essere considerata, pertanto, la prima causa di infertilità attraverso una serie di meccanismi complessi e in parte ancora non ben chiariti.
Un importante ruolo sembra essere giocato dalla presenza, nelle pazienti obese, di una condizione di iperandrogenismo e di iperinsulinismo quasi sempre accompagnato ad insulinoresistenza, condizioni egualmente presenti in pazienti obese ed in pazienti con sindrome dell'ovaio policistico (PCOS) anche in maniera indipendente dal peso.
Le alterazioni metaboliche ed ormonali nelle pazienti obese sono estremamente complesse e tra loro correlate; in modo esemplificativo, secondariamente ad una ipersecrezione pancreatica di insulina si verifica una riduzione epatica della sintesi di sex hormone binding globulin (SHBG) con conseguente aumento della quota di androgeni liberi circolanti, i quali attivano l'aromatasi adipocitaria. Ne risulta un iperestrogenismo relativo che interferisce con la secrezione ipotalamica di GnRH determinando un aumento dell'ampiezza e della frequenza dei pulse di secrezione di LH e conseguente iperstimolazione delle cellule tecali ovariche e successiva amplificazione della secrezione androgenica. Non trascurabile infine la quota androgenica di origine surrenalica.
La letteratura più recente appare concorde nell'affermare un ruolo multifattoriale dell'iperinsulinemia (a livello ipofisario, ovarico, surrenalico ed epatico) come primum movens delle alterazioni metaboliche in queste pazienti (Pasquali, 2003).
La quota di androgeni circolanti viene regolata dall'SHBG sulla cui produzione epatica agiscono GH e iodotironina come stimolatori ed insulina ed androgeni come inibitori. In questo equilibrio l'obesità si inserisce stimolando la quota androgenica, inibendo lo stimolo positivo di GH e iodotironina e favorendo lo stimolo negativo di insulina ed androgeni; ciò che infine ne consegue è un'importante riduzione dell'SHBG che si traduce nell'aumento della quota di androgeni liberi circolanti, in particolare testosterone, diidrotestostrerone e androstenediolo (Samojlik 1984)
Nella deregolazione del metabolismo androgenico si assiste inoltre, nelle pazienti obese, ad un accelerato catabolismo con aumentata clearance steroidea; ad un aumento del pool totale degli steroidi corporei ed all'attivazione dell'attività aromatasica e conversione dell'androstenedione in testosterone da parte della 17-idrossisteroido deidrogenasi. La riduzione dell'SHBG viene parzialmente compensata da un aumento della clearance epatica e dell'escrezione urinaria degli androgeni; come ulteriore effetto negativo si evidenzia invece un aumento del FAI (free androgen index) che sia associa ad effetti evidenziabili sia a livello dell'unità pilo-sebacea sia a livello ovarico (Azziz 1989).
L'iperandrogenismo così determinato in associazione all'iperattività dell'aromatasi periferica si traduce in un iperestrogenismo relativo con gli effetti già precedentemente descritti a livello dell'asse ipotalamo-ipofisi-ovaio. Su tale asse si inserisce il feedback negativo della leptina, ormone principalmente prodotto dal tessuto adiposo e la cui secrezione pare stimolata dall'assunzione di cibo. In particolare si è visto che tale azione sembra essere legata ad alte concentrazioni di tale ormone, mentre basse dosi, fisiologiche, hanno un effetto permissivo centrale. L'espressione genica della leptina è finemente regolata da numerosi altri ormoni, con un importante ruolo inibitorio degli androgeni. I recettori per la leptina sono presenti a vari livelli: ipotalamico, ipofisario, ovarico ed endometriale (Moschos 2002). Tale ormone oltre ad avere un'azione centrale a livello ipotalamico, dove determina un aumento della frequenza dei pulses del GnRH, e a livello ipofisario, in cui ha un'azione di stimolo diretto sulla secrezione di LH e FSH, presenta anche un'azione periferica importante a livello ovarico in cui livelli medio-alti di leptina interferiscono con la produzione di estradiolo inibendo la maturazione del follicolo dominante e a livello endometriale compromettendo l'impianto o le fasi precoci di sviluppo embrionale (Lebrethon 2000; Huszar 1997; Yu 1997; Duggal 2000; Agarwal 1999; Gonzalez 2000).
La diversa distribuzione del grasso corporeo, più che il grado di obesità in se, viene ritenuta importante dal punto di vista dell'interferenza sulla ciclicità mestruale. Già nel 1990 è stato dimostrato che un obesità di tipo androide era più frequentemente associata a maggiori concentrazioni di estradiolo e testosterone, a minore concentrazione di SHBG e minor attivazione dell'aromatasi periferica (Kirschner 1990).
Risulta pertanto evidente che laddove obesità e sindrome dell'ovaio policistico coesistano risultano maggiori le disfunzioni ovulatorie. Studi epidemiologici hanno dimostrato che oltre il 50% delle donne con PCOS presenta problematiche di sovrappeso fino all'obesità grave (Pasquali 2003), e che circa il 70% delle pazienti con ovaio policistico sono iperinsulinemiche, di cui il 60% sono obese (Fulghesu 1999).
Nel 1998 Holte e coll. hanno dimostrato che l'obesità peggiora la sensibilità all'insulina in maniera più marcata nelle donne con PCOS rispetto ai controlli.
Successivamente è stato evidenziato come sia i livelli di testosterone che il FAI siano direttamente correlati ai livelli di insulina e all'indice di massa corporea (Fulghesu 1999; Ciampelli 1999).
Risulta quindi evidente come la perdita di peso e l'utilizzo di farmaci attivi sul metabolismo dell'insulina siano estremamente utili per il ripristino di una normale funzionalità ovarica e ciclicità mestruale (Hollmann 1996, Romualdi 2003). La normalizzazione dei livelli di insulina e la perdita di grasso viscerale è frequentemente associata , in queste pazienti, ad una riduzione degli androgeni circolanti, ad un aumento dell'SHBG, ad una normalizzazione della pulsatilità dell'LH, nonché ad una riduzione dello Score di Ferriman-Gallway dell'irsutismo.
Infine l'effetto benefico di tali approcci terapeutici si traduce anche in un aumento della percentuale di gravidanze spontanee e in una riduzione dei tassi di aborto precoce (Clark 1998).
Per quanto i meccanismi attraverso i quali l'obesità induce la condizione di amenorrea siano complessi e tuttora non completamente chiariti, un ruolo importante sembra essere rivestito dalla presenza di iperandrogenismo funzionale e iperinsulinemia. Particolarmente nella PCOS, la condizione di obesità centrale risulta corresponsabile nello sviluppo dell'anovulatorietà cronica. Dati gli effetti benefici della perdita di peso, gli interventi sullo stile di vita dovrebbero rappresentare il primo approccio nel trattamento delle pazienti obese con amenorrea.

Tabella 1

Cicli regolari

Oligomenorrea

Amenorrea

P

Età (anni)

30.5±6.5

29.6±5.6

28.7±7.4

0.125

Peso (Kg)

94.18±16.44

101.2±18.9

116.6±15.2

0.001

BMI (Kg/m2)

37.17±6.04

40.4±6.8

46.3±6.6

<0.0001

Circonferenza vita (cm)

101.25±13.14

107.1±12.7

119.4±12.6

0.001

Circorferenza fianchi (cm)

112.64±13.66

123.1±14.0

137.8±10.3

0.006

Insulina basale (mU/dl)

15.7±9.8

18.6±8.5

31.1±10.1

0.006

 

Modified from Castillo-Martinez, 2003



BIBLIOGRAFIA:

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