Venti anni di crioconservazione degli ovociti umani



VENTI ANNI DI CRIOCONSERVAZIONE DEGLI OVOCITI UMANI

Eleonora Porcu, Maria Dirodi, Giuseppe Damiano, Antonia Bazzocchi, Stefano Venturol

INTRODUZIONE
Dopo venti anni dall’ annuncio della prima gravidanza, la crioconservazione degli ovociti continua a rappresentare un ambizioso obiettivo scientifico e clinico che coinvolge numerosi ricercatori.
Una serie di ragioni concorrono a spiegare il grande interesse per la crioconservazione degli ovociti. In primo luogo vi sono ragioni etiche. Sin dall’inizio, le tecniche di riproduzione assistita hanno promosso la produzione di un alto numero di ovociti al fine di formare più di un embrione ed incrementare così il tasso di gravidanza. Di conseguenza, sono stati ottenuti degli embrioni in eccesso. Il congelamento degli embrioni ha risolto il problema solo parzialmente. Molto spesso in realtà il problema degli embrioni in esubero è stato solo rinviato e ha indotto reazioni etiche, morali e religiose responsabili di leggi restrittive in diversi Paesi. L’alternativa del congelamento degli ovociti, rispettosa dei problemi etici e morali, appare particolarmente appetibile.
In aggiunta alle ragioni etiche in ambito di fecondazione assistita, la crioconservazione degli ovociti offre un’opportunità alle donne a rischio di esaurimento della funzione riproduttiva dovuta a trattamenti antineoplastici. Questa possibilità è disponibile per gli uomini da diversi decenni.
Tuttavia, rispetto alla crioconservazione dello sperma o degli embrioni, il congelamento degli ovociti ha fronteggiato difficoltà tecniche a causa delle caratteristiche specifiche delle cellule germinali femminili. Gli ovociti sono, infatti, tra le cellule umane più grandi, con un rapporto superficie/volume sfavorevole alla crioconservazione. Al momento dell’ovulazione, la meiosi si blocca in metafase II, con i 23 cromatidi gemelli di ciascun cromosoma allineati lungo l’asse equatoriale, fissati ai microtubuli all’interno del fuso meiotico. Tale struttura è estremamente sensibile alla temperatura. Infatti i crioprotettori o i cristalli di ghiaccio derivanti dal processo congelamento-scongelamento potrebbero causare una depolarizzazione dei microtubuli del fuso. Quindi, al momento della fertilizzazione, potrebbe essere preclusa la normale separazione dei cromatidi, con il risultato di una aneuploidia in seguito all’espulsione del secondo globulo polare.
In aggiunta al fuso meiotico, altre strutture cellulari quali la membrana citoplasmatica, la zona pellucida, i granuli corticali e il citoscheletro, potrebbero essere danneggiate dal processo di congelamento-scongelamento e dai crioprotettori.

Conoscenze di base sulla crioconservazione
Il processo della crioconservazione segue cinque fasi fondamentali:
(a) un’iniziale esposizione ai crioprotettori, sostanze in grado di ridurre il danno cellulare causato dalla cristallizzazione dell’acqua;
(b) il congelamento fino a temperature inferiori ai 0° C;
(c) la conservazione;
(d) lo scongelamento;
(e) la diluizione e la rimozione dei crioprotettori con conseguente ritorno al fisiologico microambiente, in modo da permetterne il successivo sviluppo.
I momenti del processo potenzialmente più dannosi per la sopravvivenza cellulare comprendono: la fase iniziale di congelamento e quella finale di ritorno alle condizioni fisiologiche.
Se la temperatura raggiunta è sufficientemente bassa (normalmente -196°C , la temperatura dell’azoto liquido) la conservazione, anche per lunghi periodi di tempo, non ha effetti sul successivo tasso di sopravvivenza. Infatti, a queste temperature, l’energia disponibile non è sufficiente per la maggior parte delle reazioni fisiologiche e le molecole d’acqua si allineano secondo una struttura cristallina. L’unico danno potenziale per i gameti e gli embrioni conosciuto a queste temperature è la rottura del DNA prodotto dai raggi cosmici.
Quando un ovocita è congelato a temperature comprese tra -5°C e -15°C la formazione di ghiaccio avviene inizialmente nell’ambiente extracellulare grazie ad un processo chiamato seeding. Man mano che la temperatura diminuisce, la quantità di ghiaccio aumenta ed i soluti si concentrano nello spazio extracellulare. Il risultato di tutto ciò è la formazione di un gradiente osmotico. Per effetto di tale gradiente, l’acqua è richiamata dal citoplasma verso il liquido extracellulare e la cellula si restringe. Se il processo è sufficientemente lento, il massivo passaggio di acqua verso l’esterno della cellula permetterà di ridurre la probabile nucleazione di ghiaccio all’interno della cellula, approssimativamente fino ai -15°C. É stato creato un modello matematico che descrive l’andatura delle moficazioni volumetriche della cellula in funzione della sua permeabilità, superficie di membrana e temperatura [1]. Per quelle cellule con un basso rapporto superficie/volume, come i gameti, è necessaria una bassa velocità di congelamento al fine di consentire la fuoriuscita dalla cellula di una adeguata quantità di acqua. In questo modo, i cristalli di ghiaccio intracellulari che si formano potrebbero essere sufficientemente piccoli da evitare un qualsiasi danno ai componenti intracellulari. È necessario sottolineare che, per qualsiasi tipo di cellula, un aumento della velocità di congelamento riduce il tasso di sopravvivenza.
La velocità di congelamento ottimale dipende da diverse parametri: il contenuto di acqua nel citosol, la costante di permeabilità della membrana cellulare, la superficie della membrana e la temperatura. Il contenuto di acqua intracellulare, a prescindere dal causare danni meccanici al momento del congelamento, potrebbe anche causare danni al momento dello scongelamento, a causa di un aumento di volume durante tale processo. Il tasso di sopravvivenza infatti decresce se lo scongelamento si verifica lentamente, dato che, in questo modo, i cristalli formatisi all’interno del citosol hanno una quantità di tempo sufficiente per svilupparsi, in modo da danneggiare le strutture intracellulari.
Due fenomeni che si verificano durante lo scongelamento degli ovociti potrebbero ridurre il tasso di sopravvivenza: (a) la recristallizzazione e (b) lo shock osmotico. Per recristallizzazione si intende il processo attraverso il quale l’acqua ritorna all’interno della cellula e passa allo stato solido intorno i piccoli cristalli di ghiaccio precedentemente formatisi nel citosol. Quando la temperatura si è elevata a –40°, alcune molecole di acqua potrebbero ripercorrere le tappe seguite durante il processo di congelamento, tornando nel citosol e riformando dei legami ad idrogeno con i cristalli di ghiaccio già presenti, ciò aumenta significativamente le dimensioni cellulari. La probabilità di ricorrenza di tale fenomeno è influenzato sia dalla velocità di congelamento che da quella di scongelamento. Dopo un rapido congelamento, la disidratazione cellulare è probabilmente insufficiente e ciò potrebbe favorire la formazione di grosse masse intracellulari qualora il processo di scongelamento venisse svolto lentamente. La formazione di ghiaccio intracellulare è evitabile se il congelamento rapido ha luogo al punto di solidificazione del ghiaccio. Lo shock osmotico potrebbe accadere durante uno scongelamento rapido. Infatti qualora il crioprotettore, precedentemente penetrato all’interno delle cellule, non si espandesse al di fuori abbastanza rapidamente al fine di prevenire l’afflusso di acqua, l’ovocita potrebbe gonfiarsi ed esplodere. Durante questa fase devono incontrarsi due necessità opposte: da una parte è importante ridurre al minimo il tempo di contatto tra la cellula ed il crioprotettore a temperatura ambiente, per contenerne la citotossicità temperatura-dipendente; dall’altra il processo di diluizione del crioprotettore all’interno del citosol deve essere molto graduale al fine di evitare l’eccessiva riduzione del potenziale osmotico extracellulare che causerebbe un massivo afflusso di acqua all’interno della cellula con conseguente lisi cellulare. La letteratura pubblicata sulla crioconservazione degli ovociti umani fornisce comunque informazioni contrastanti circa il metodo ideale in grado di ridurre al minimo il danno all’integrità cellulare. I principali fattori coinvolti nel successo della crioconservazione sono legati agli ovociti stessi e alla tecnica.

Parametri biologici e tecnici legati al successo delle crioconservazione
La dimensione dell’ovocita è un parametro critico nel processo di congelamento. Il gamete femminile è una delle cellule umane più grandi e ciò aumenta la probabilità di formazione del ghiaccio intracellulare e riduce il tasso di sopravvivenza. Anche la qualità ovocitaria è una variabile fondamentale per garantire la sopravvivenza dopo lo scongelamento. Tanto più alta è la qualità, tanto più alta sarà la percentuale di sopravvivenza [2]. In aggiunta, gli ovociti dovrebbero essere conservati lo stesso giorno del prelievo, possibilmente entro le 8 ore [3].
Infatti il congelamento di ovociti vecchi comporta basso tasso di fertilizzazione e maggior rischio di poliploidia. Relativamente alla fase di maturazione, gli ovociti che sono considerati maturi al prelievo hanno i maggiori tassi di sopravvivenza e fertilizzazione dopo crioconservazione [4]. La maggior parte delle gravidanze ottenute furono realizzate con gameti femminile in metafase II.
Un approccio alternativo a congelare gameti maturi è rappresentato dalla crioconservazione degli ovociti in Profase I. Gli ovociti in Profase I, quando la meiosi si arresta in fase di diplotene, e i cromosomi sono all’interno della membrana nucleare, sono capaci di sopravvivere alla crioconservazione e raggiungere la Metafase II dopo lo scongelamento [5].
Sono state riportate opinioni contrastanti riguardanti la crioconservazione degli ovociti immaturi. Frydman et al. [6] mostrano, mediante analisi del fuso meiotico, solo poche anormalità negli ovociti immaturi di topo congelati. Dall’altro lato Park et al. [7] riportano un aumento dell’incidenza di anormalità dei cromosomi e del fuso nelle vescicole umane germinali congelate. Sono stati riportati risultati contrastanti riguardo il ruolo svolto dal cumulo ooforo nel risultato della crioconservazione [8-9]. Nella nostra esperienza i risultati non cambiano in presenza o meno del cumulo ooforo.
Fra le variabilità tecnica, sembra che i crioprotettori giochino un ruolo principale. I crioprotettori sono sostanze con alta solubilità in acqua e tossicità proporzionale alla loro concentrazione e temperatura. Essi comprendono alcoli (Metanolo, Etanolo, Propanolo, 1, 2, Propandiolo, Glicerolo), carboidrati (Glucosio, Lattosio, Saccarosio e Amido) e Dimetilsulfossido. Congruentemente con la loro capacità di penetrare o no all’interno delle cellule, i crioprotettori possono essere distinti in: agenti penetranti e non penetranti. I crioprotettori riducono la concentrazione elettrolitica nei microambienti non congelati. Quindi l’aggiunta di crioprotettori riduce la quantità di acqua che cristallizza.
Un eccellente lavoro di Paynter et.al [10] si è recentemente occupato dei cambiamenti di volume degli ovociti umani maturi dopo esposizione ai crioprotettori. Gli autori hanno dimostrato che anche piccole variazioni nella durata dell’esposizione ai crioprotettori possono generare drastici cambiamenti nello stato di idratazione cellulare e di conseguenza nel destino della cellula durante il congelamento e lo scongelamento: differenze di anche solo un minuto o due nella durata della esposizione ai crioprotettori possono generare variazioni estreme nel volume della cellula ed è possibile avere drastiche conseguenze. Una esposizione prolungata potrebbe indurre gravi alterazioni al fuso meiotico in un elevato numero di ovociti [11-12]. La concentrazione ottimale di crioprotettori dipende dal tipo di cellula e dalla specie. Il Propandiolo è il più comune crioprotettore, utilizzato in genere alla concentrazione di 1,5 M in associazione con il Saccarosio a concentrazioni variabili nel range 0,1-0,2-0,3 M. Chen [13] dimostrò migliori risultati con 0,2 M rispetto a 0,1. Secondo la nostra esperienza [14] 0,3 M di Saccarosio è associato ad un maggior tasso di sopravvivenza. Tuttavia, Paynter [10] esprime preoccupazione circa il possibile danno derivante dall’estrema disidratazione della cellula che avviene in soluzioni 0,3 M di Saccarosio.
Un interessante studio di Ghetler et al [15] indica il ruolo della temperatura di transizione di fase della membrana lipidica (LPT) nel determinare la criovulnerabilità di una cellula. L’LPT è la temperatura alla quale la membrana fosfolipidica passa da una fase liquida cristallina a una fase gel cristallino. La composizione lipidica della membrana influenza fortemente la sua resistenza allo stress termico. I gameti umani femminili hanno un’alta temperatura di LPT che potrebbe spiegare la loro scarsa sopravvivenza alla crioconservazione.
Gli ovociti sono spesso conservati mediante “congelamento lento – scongelamento rapido” mentre il “congelamento lento – scongelamento lento” è inusuale e raramente riportato in letteratura. Il metodo “congelamento ultrarapido – scongelamento rapido” evita la formazione di cristalli di ghiaccio ed induce un microambiente vetroso amorfo utilizzando alte concentrazioni di crioprotettori. Trounson [16] per primo applicò questa strategia di crioconservazione degli ovociti attraverso l’immersione diretta delle uova nell’azoto liquido. Dopo lo scongelamento tutti gli ovociti degenerarono in coltura. La vitrificazione è una tecnica ultrarapida di congelamento basata su un diretto contatto fra alta concentrazione di agenti crioprotettori e azoto liquido. La vitrificazione è un processo in cui una soluzione ad alta concentrazione di crioprotettori solidifica durante il congelamento senza la formazione di cristalli di ghiaccio, in un fluido super-raffreddato e altamente viscoso. Sono richiesti elevati livelli di raffreddamento (circa 1500°C/min) e alte concentrazioni (5-6 M) di crioprotettori come saccarosio, glicol-propilene e glicol-polietilene per la vitrificazione dell’acqua dentro la cellula. Ciò può essere ottenuto in due modi: aumentando la velocità di conduzione termica o la concentrazione dei crioprotettori [17]. Questo metodo presenta due maggiori vantaggi: in primo luogo è una tecnica molto semplice, in secondo luogo elevati livelli di raffreddamento escludono la formazione di cristalli di ghiaccio e la fase liquida è convertita in quella solida attraverso un grosso aumento di viscosità durante il raffreddamento.
La vitrificazione attraversa rapidamente la temperatura di transizione di fase e così evita parzialmente l’induzione di danni da congelamento della membrana da LPT [1]. La vitrificazione rapida è ottenuta con diversi tipi di dispositivi di stoccaggio e col possibile uso di azoto liquido superfreddo.
Trounson et al., [16] hanno riportato tassi accettabili di sopravvivenza e fertilizzazione, ma bassi tassi di divisione, probabilmente dovuti a danni al citoscheletro indotti dall’associazione di soluzioni raffreddate e vitrificate. Applicazioni cliniche di successo di questa tecnica sono relativamente recenti [19-22]. Dall’altra parte la sicurezza di queste tecniche non è stata completamente stabilita poichè alcuni studi hanno documentato la tossicità dei crioprotettori a queste concentrazioni [23]. Inoltre, la soluzione vitrificante contenente gli ovociti è esposta direttamente all’azoto liquido col rischio di una potenziale contaminazione da microrganismi patogeni. Per superare questo problema sono state recentemente proposte alternative tecnologiche asettiche [24].

Possibile danno ovocitario dopo crioconservazione
Le strutture cellulari che possono esser danneggiate dalla crioconservazione sono: il fuso meiotico, il citoscheletro, i granuli corticali e la zona pellucida.
Il fuso meiotico è estremamente sensibile alla temperatura. sono state espresse preoccupazioni circa la possibilità di indurre la depolarizzazione dei microtubuli del fuso meiotico [25].
Ciascuna perdita di queste strutture potrebbe disperdere i cromosomi e causare aneuploidia. Tuttavia Gook et al. [3] riportarono cariotipi normali ed assenza di cromosomi vaganti in ovociti umani crioconservati. Gli autori hanno suggerito che il fuso meiotico degli ovociti umani sembrerebbe più resistente rispetto a quello dei gameti di ratto, e postularono che dopo lo scongelamento gli ovociti potrebbero riparare alcune delle alterazioni avvenute mediante corretta ripolimerizzazione del fuso. Questa ipotesi è stata recentemente confermata da studi sul fuso meiotico [26-27], che documentano la sua scomparsa transitoria immediatamente dopo lo scongelamento ma anche la sua riorganizzazione dopo 3-5 ore di coltura nella maggior parte degli ovociti maturi.
Risultanti rassicuranti concernenti il fuso meiotico ed i cromosomi degli ovociti scongelati è stato espresso anche da Cobo [28].
Un altro possibile effetto della crioconservazione è l’attivazione partenogenetica (PA) [29]. Gook et al.[30] dimostrarono che la sola esposizione al PROH non induce partenogenesi, mentre il processo di congelamento la causerebbe nel 27/29% dei casi.
Il citoscheletro, è anche estremamente sensibile alle basse temperature ed il frequente arresto si sviluppo negli embrioni derivati da ovociti crioconservati è probabilmente collegato ad una sottile perturbazione nella citoarchitettura. Eroglu et al. [31] dimostrarono che la crioconservazione causa drastiche alterazioni nel citoscheletro, reversibili mediante appropriata incubazione dopo lo scongelamento. Gli autori documentano anche un incremento del tasso di diginia nelle uova di topo congelate in metafase II.
Durante la fase di fertilizzazione l’esocitosi dei granuli corticali situati alla periferia dell’ovocita previene l’ingresso di più di uno spermatozoo. Un rilascio fuori tempo dei granuli corticali potrebbe essere causato dal danno sviluppato dai crioprotettori e dai cristalli di ghiaccio sui microfilamenti di actina situati sotto la membrana cellulare [16-32].
Alcuni autori [33] definirono che l’alta frequenza di polispermia in ovociti congelati/scongelati è causata dalla perdita dei granuli corticali indotta dal processo di congelamento. Tuttavia altri autori [8] documentarono un abbondante numero di granuli corticali in tutti gli ovociti crioconservati, postulando che il processo di congelamento non altera il rilascio di queste strutture.
Anche la zona pellucida è un possibile sito di danno [34-35], probabilmente causato dalla formazione di piani di rottura nel ghiaccio o da cristalli di ghiaccio in grado di intrappolare o perforare la cellula.

Sopravvivenza e fecondazione degli ovociti umani crioconservati
Il tasso di sopravvivenza sembra dipendere dalla qualità degli ovociti congelati. Chen [2] riportò un tasso di sopravvivenza del 76% con ovociti maturi di ottima qualità, mentre un minor tasso di sopravvivenza fu ottenuto da Al Hasani [4] negli ovociti in eccesso, in genere immaturi e di bassa qualità.
Il generalmente basso numero di uova congelate valutate nella maggior parte degli studi, potrebbe spiegare l’estesa variabilità del tasso di sopravvivenza riportato in letteratura [35-37].
Il tasso di fecondazione degli ovociti crioconservati è estremamente variabile: da 13% [35] a 71% [2]. Tuttavia, nella maggior parte degli studi la variabilità è compresa tra il 30% ed il 55% e quindi mediamente inferiore alla percentuale di fertilizzazione ottenuta con ovociti freschi.
L’ICSI è stata recentemente proposta [35-37] come una soluzione al possibile danno criogenico della zona pellucida e dei granuli corticali.
Dopo una iniziale esperienza con inseminazione in vitro tradizionale di ovociti congelati che diede una percentuale di fertilizzazione del 46%, anche la nostra equipe intraprese uno studio che associava la ICSI e la crioconservazione degli ovociti. La percentuale di fecondazione salì fino a circa il 70%. L’ incidenza di fecondazione anomala è simile a quello trovato nella IVF e nell’ICSI da ovociti freschi. La maggior parte degli embrioni è di buona qualità e si divide regolarmente.

Gravidanze e nascite
La prima gravidanza da ovociti umani congelati è stata riportata da Chen nel 1986 [38] e di lì a breve vennero pubblicate altre due gravidanze [2, 39].
Tuttavia, nei successivi dieci anni, sono state riportate solo una manciata di gravidanze senza nascite. La crioconservazione degli ovociti venne pertanto considerata una tecnica a bassa efficienza. Con l’introduzione della ICSI, i risultati in termini di fertilizzazione e di divisione embrionale migliorarono significativamente. Nel 1997 la nostra equipe riportò la prima nascita di una bambina sana ottenuta con ICSI da ovociti congelati con propandiolo [40] e in seguito diverse altre gravidanze [41-49]. In tempi brevi altri autori condivisero la stessa esperienza con buoni risultati [50-58]. La scelta di adottare la ICSI per inseminare gli ovociti crioconservati è quasi certamente il fattore chiave che ha innalzato le percentuali di fecondazione e di gravidanza rendendole più costanti e riproducibili negli ultimi dieci anni. Secondo l’esperienza di Chen [57], si otterrebbe addirittura lo stesso tasso di gravidanza sia da ovociti crioconservati che da embrioni crioconservati.
Variazioni tecniche come l’utilizzo di mezzi a basso contenuto di sodio hanno condotto alla nascita di bambini sani [59-60].
La prima nascita dopo crioconservazione di ovociti umani immaturi è stata annunciata nel 1998 [61] generando un cauto ottimismo rispetto alle preoccupazioni nate da alcuni studi sulle possibili anomalie cromosomiche negli ovociti immaturi congelati. Negli anni successivi vennero pubblicate ulteriori gravidanze con ovociti immaturi congelati [62].
La prima nascita da ovociti umani vitrificati risale al 1999 [19]. Altri autori scelsero tale alternativa con apprezzabili risultati [20-22].
Le prime nascite di bambini normali da ovociti congelati inseminati con spermatozoi epididimali [44] e testicolari [43] vennero pubblicate nel 1999. Nell’anno successivo fu annunciato la nascita di un bambino concepito con uova congelate e spermatozoi congelati [45].
Recentemente la combinazione di ovociti congelati e spermatozoi congelati proveniente dall’eiaculato, dall’epididimo o dal testicolo, è stata adottata con successo da alcuni gruppi di ricercatori [62-64].
Levi Setti [64] ha pubblicato un case report contenente una forma estrema di crioconservazione riproduttiva in cui il bambino è stato concepito con un embrione congelato derivante da uova congelate e da spermatozoi testicolari congelati. Questi casi documentano che la conservazione riproduttiva aumenta la flessibilità delle procedure di riproduzione assistita e, anche nella più complessa delle combinazioni, è apparentemente sicura.
Infine l’ applicazione del congelamento degli ovociti finalizzata a conservare il potenziale riproduttivo nelle pazienti neoplastiche [65] appare promettente.
Ma, attualmente, è possibile affermare che la crioconservazione degli ovociti umani sia una tecnica efficiente ? La letteratura recente spesso riporta percentuali di gravidanza elevate che oscillano tra il 33 ed il 57% [55, 57-59 ]. Tuttavia questi Autori riportano studi eseguiti su un numero limitato di casi probabilmente selezionati e con pochi ovociti.
Recentemente studi più ampi di Ricercatori italiani documentano una percentuale di gravidanza del 17% in 501 cicli di scongelamento [66], del 11,3% in 159 cicli [67], del 8,9% in 209 casi [68] e del 3,8% in 502 cicli [69].
Lo stoccaggio di ovociti col metodo della vitrificazione non sembra peraltro essere più efficiente fino ad ora. Yoon et al., [21], in 34 cicli di scongelamento di 474 ovociti vitrificati riporta una percentuale di gravidanza del 17,6%. Le percentuali di gravidanza più elevate riportate da Katayama [20] (33% riferite per transfer) e da Kuwayama [22] ( 41.4% riferite per transfer) sono tuttavia relative allo scongelamento di un numero bassissimo di ovociti: 46 e 64 rispettivamente. Questa considerazione è ancora più valida leggendo l’ articolo di Lucena [70] che riporta una percentuale di gravidanza del 56.5% in 23 transfer. E’ necessario sottolineare che le pazienti dello studio sono molto giovani e che il numero medio di embrioni trasferiti ogni caso è 4.63, ovvero quasi il doppio di quanto riportato negli studi italiani.
Alla luce di tutti questi dati, rimane purtroppo estremamente difficile fare chiarezza sulla reale efficienza di questa metodica. I dati più attendibili sono verosimilmente quelli dei ricercatori italiani che applicano la metodica in modo estensivo, indistinto e routinario a tutta la popolazione candidata alla procreazione medicalmente assistita extracorporea come veniva fatto, nei centri più attrezzati, col congelamento degli embrioni soprannumerari prima della legge 40. Ma anche all’ interno delle casistiche italiane esistono dei divari che andranno analizzati e, si auspica, livellati per raggiungere uno standard clinico e di laboratorio riproducibile e accettabile.

Conclusioni
All’entusiasmo per l’annuncio delle prime gravidanze negli anni ottanta non è seguito un rapido inserimento della tecnica nell’ armamentario routinario della PMA. La crioconservazione degli ovociti è spesso ancora relegata nell’ambito della ricerca ed è considerata una tecnica sperimentale mentre altre procedure vennero a suo tempo rapidamente e precocemente incorporate nella pratica clinica, ancor prima della dimostrazione di una inequivocabile sicurezza. In realtà, non c’era una necessità urgente e insostituibile di promuovere il congelamento degli ovociti considerando la disponibilità del congelamento degli embrioni sviluppatosi più agevolmente e rapidamente all’ interno della scelta obbligata tra congelare o eliminare i soprannumerari. E le riserve etiche o legali non sono mai state così potenti da promuovere energicamente la ricerca sul congelamento degli ovociti fino ad un piano clinico significativo.
Il fallimento dei tentativi di riprodurre i primi successi clinici ottenuti negli anni ottanta ha condotto una vasta parte di ricercatori a considerare il congelamento degli ovociti come una tecnica inefficiente e inaffidabile. Una ragione di questi risultati scoraggianti potrebbe essere ricondotta al basso numero di ovociti usato nei protocolli sperimentali e alla cattiva qualità degli ovociti stessi perlopiù costituiti da ovociti in eccesso, scartati o invecchiati, responsabili di bassa sopravvivenza, fertilizzazione e clivaggio.
Considerando nell’insieme tutti i risultati clinici pubblicati negli ultimi dieci anni, è possibile calcolare un tasso medio di sopravvivenza ovocitaria di circa il 67%. La percentuale di nascita per ovocita scongelato è intorno al 4%. Fino ad ora nessun metodo singolo di congelamento ha dimostrato una superiorità assoluta.
I pochi bambini nati da ovociti congelati venti anni orsono risultarono sani. Anche i bambini nati da crioconservazione degli ovociti ed ICSI negli ultimi dieci anni sembrano essere sani e normali ma debbono assolutamente essere censiti da un registro internazionale e seguiti longitudinalmente.
L’inseminazione di ovociti congelati mediante ICSI ha risolto uno dei maggiori problemi inerenti al congelamento degli ovociti, ossia il basso tasso di fecondazione ma è necessario migliorare ulteriormente la sopravvivenza e l’ impianto.

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Centro di Sterilità e Procreazione Medicalmente Assistita Unità Operativa di Fisiopatologia della Riproduzione Umana Università di Bologna